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Giulio Carpioni (1613 - Vicence 1678)

(Venezia, 1613 - Vicenza, 1678)

Iride nel regno di Hypnos

Olio su tela, 74 x 65 cm

  • PROVENIENZA
  • BIBLIOGRAFIA
  • MOSTRE
  • DESCRIZIONE

PROVENIENZA


Milano, collezione privata.

BIBLIOGRAFIA


Daniele D’Anza, Su Giulio Carpioni: una nota, due dipinti e un dubbio, «Arte Veneta», 67, 2010, p. 166.

DESCRIZIONE


Il dipinto di Giulio Carpioni è ispirato alle MetaIL DIPINTO DI GIULIO CARPIONI È ISPIRATO ALLE METAMORFOSI DI OVIDIO (XI, versi 592 e seguenti), e rappresenta in particolare i versi che precedono il sogno di Alcione, regina di un’antica città greca. Morfeo appare alla donna addormentata nelle vesti del marito di lei, Ceice, per informarla della sua morte in un naufragio. A chiedere a Morfeo di apparire ad Alcione era stata Giunone, che non sopportando di essere pregata dalla bella regina perché proteggesse il marito già defunto, aveva chiesto alla sua messaggera Iride di recarsi nel regno di Hypnos, il Sonno.
È proprio questo il passaggio descritto da Carpioni:
Appena Iride entrò in quella sacra dimora, scostando con le mani i sogni che le si paravano dinnanzi, questa si illuminò tutta del fulgore della sua veste. Il dio tentò di sollevare le palpebre pesantemente abbassate, ma il capo gli ricadde più volte, sfiorando con l’oscillare del moneot il petto; infine riuscì a scrollarsi se stesso di dosso, e appoggiandosi al gomito chiese all’ospite, che ben conosceva, quale fosse il motivo della sua venuta. Ella gli rispose: «O Sonno, signore della quiete, o Sonno, il più placido degli dei, che sei pace per il cuore e non conosci affanni, che ristori i corpi stanchi delle loro pesanti occupazioni e li rendi atti a nuova fatica, devi ordinare a uno dei sogni che riproducono le immagini del reale di recarsi da Alcione, nell’Erculea Trachine, assumendo l’aspetto del re in veste di naufrago. Questo è il volere di Giunone». Compiuto il suo incarico, Iride se ne andò, perché non poteva resistere più a lungo all’impulso di addormentarsi: non appena sentì il sonno insinuarsi nelle sue membra, fuggì ia sulla scia di quell’arco per il quale era appena venuta. (Traduzione Giovanna Faranda Villa 1997)
Il passo descrive il regno del dio Sonno «una caverna nascosta, profondamente scavata in un monte» dove i raggi del sole non penetrano mai e dove il silenzio si perpetua ininterrotto. Il sonno giace su un letto di nero ebano, e «intorno a lui qua e là, riproducendo le forme più svariate, giacciono i sogni inconsistenti, tanti quante sono le spighe in un campo di grano, o le fronde in un bosco, o i granelli di sabbia in una spiaggia». Ed ecco la folla, a prima vista, sorprendente e disparata che Carpioni ritrae.
Questo soggetto, raramente scelto da altri pittori, è invece uno dei preferiti di Giulio Carpioni. La nostra composizione, come ha già sottolineato Daniele D’Anza in un articolo (in «Arte Veneta», 2010), corrisponde in tutto e per tutto a una foto in bianco e nero conservata nella fototeca della Fondazione Zeri (n. 56931), in cui la composizione è data come di ubicazione ignota e mancano le dimensioni precise. Rispetto ad altre versioni di questo tema sviluppate dall’artista in orizzontale1, il formato verticale e piuttosto stretto conferisce alle numerose figure nella grotta di Hypnos un effetto di densità e promiscuità nell’assopimento generale. Il nostro dipinto dimostra la fertile immaginazione di questo colto artista che, utilizzando il testo di Ovidio come punto di partenza e avvalendosi senza dubbio anche di quello di un autore contemporaneo come Vincenzo Cartari2, è riuscito a dare vita a una miriade di rappresentazioni allegoriche, alcune delle quali rimangono ancora misteriose3. L’ordine dell’insieme è senza dubbio il risultato di una solida base concettuale,
in cui il disegno delle figure, dei volti, delle mani e degli atteggiamenti, così come l’arte del panneggio, si ispirano alle soluzioni formali dei modelli classici. L’insieme compatto dei personaggi è mosso da bellissimi effetti di luce e l’uso di colori puri – blu, bianco e giallo zafferano – che esaltano la rappresentazione di questo raro episodio mitologico. Per tutte queste caratteristiche stilistiche, Daniele D’Anza colloca l’esecuzione dell’opera negli anni Sessanta del Seicento, periodo in cui Carpioni dimostrò le sue qualità lineari e puriste, raffigurando un mondo ideale di un’Arcadia perduta.
Nato a Venezia, Carpioni si trasferì a Vicenza nel 1636, dove ottenne un grande successo con la vena classica del suo stile, ereditata dall’apprendistato presso Padovanino (1588- 1649), a cavallo degli anni Trenta del Seicento. Questo orientamento si sviluppò grazie allo studio approfondito del giovane Tiziano (1488/90-1576), i cui Baccanali erano originariamente nella collezione di Alfonso d’Este a Ferrara, poi a Roma fino al 1638, quando partirono per la Spagna (oggi Madrid, Museo del Prado), senza dimenticare, nella stessa ottica ma con spirito meno ridente, la conoscenza delle creazioni del contemporaneo francese Nicolas Poussin (1594-1665), probabilmente attraverso la diffusione delle stampe di Pietro Testa (1611-1650).
Note
[1] Venezia, Ca’ Rezzonico – Museo del Settecento veneziano; Vienna, Kunsthistorisches Museum; Pommersfelden, Graf von Schönborn-Wiesentheid Kunstsammlung; Yale University Art gallery.
[2] Vincenzo Cartari, Le immagini de i Dei degli antichi nelle quali si contengono gl’idoli, i riti, le ceremonie ed altre cose appartenenti alla religione degli antichi, Padova, 1603.
[3] Un’altra versione della nostra composizione, di dimensioni simili (72 x 64 cm), ma con alcune varianti (in particolare la figura femminile allegorica in alto a sinistra, che non include il serpente), è attualmente in collezione privata ed è stata esposta a Rovigo nel 2010. Cfr. R. Cevese, Quattro dipinti sconosciuti di Giulio Carpioni, «Arte Veneta», XXXII, 1978, pp. 322-325; Tesori dalle dimore storiche del Veneto. Capolavori dal ‘400 al ‘700, catalogo della mostra, Rovigo, Museo dei Grandi Fiumi, P.L. Fantelli (a cura di), Padova, 2010, n. 18, p. 124.