Giovanni Lanfranco (Parma, 1582 - Rome, 1647)
(Parma 1582 – Roma, 1647)
Ruggiero aiuta Angelica a scendere dall’IppogrifoOlio su tela, 105 x 100 cm
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PROVENIENZA
Amburgo, collezione privata; per via ereditaria, Pforzheim, collezione privata.
BIBLIOGRAFIA
Inedito
DESCRIZIONE
l soggetto del dipinto ha origine letteraria, l’episodio è infatti raccontato da Ludovico Ariosto (1474-1533) nei canti x e xi dell'Orlando Furioso, il celebre poema epico pubblicato per la prima volta nel 1516 e da allora inesauribile fonte di ispirazione per gli artisti.
Gli abitanti dell'isola di Ebuda hanno offerto in sacrificio Angelica, bellissima principessa pagana, a un mostro. Quando la giovane sta per essere divorata, legata nuda a una roccia, Ruggiero vola sul suo ippogrifo sopra di lei e decide di liberarla utilizzando il suo magico scudo, che può abbagliare i suoi nemici e farli cadere nel sonno. Temendo che l’anello magico incantato che indossa - che ha il potere di cancellare gli incantesimi e di garantire l'invisibilità se messo in bocca - possa neutralizzare l'effetto del suo scudo, lo mette al dito di Angelica, come si vede nel dipinto di Giovanni Lanfranco. L’anello, che apparteneva originariamente ad Angelica, nel corso del poema passa da un personaggio all’altro prima di tornare, grazie a Ruggiero, nelle mani dell’eroina.
Giovanni Lanfranco rappresenta il momento in cui Ruggiero, approdato in una “solitaria e amena radura”, afferra con passione Angelica aiutandola a smontare dal magico destriero. Nuda e con gli occhi pudicamente bassi, la giovane si accorge che il prezioso anello è ancora al suo dito. Lo toglie e lo mette in bocca, diventando istantaneamente invisibile e sfuggendo così a Ruggiero che la cerca furiosamente preso da uno stato di disperata confusione.
Questo episodio dell'Orlando Furioso è raramente rappresentato in pittura, più spesso è scelto il momento più drammatico della liberazione di Angelica dal mostro marino, che riecheggia il celebre precedente mitologico di Perseo che libera Andromeda.
Lanfranco dipinge questo singolare episodio letterario in un’altra occasione, in un quadro oggi conservato alla Galleria Nazionale delle Marche di Urbino1. La composizione è più orizzontale, con il paesaggio che si sviluppa in uno specchio d'acqua lontano. Le varianti tra i due quadri sono numerose, soprattutto per quanto riguarda l'aggiunta di panneggi svolazzanti sui protagonisti e la collocazione dell'ippogrifo. Come per la composizione di Urbino, la radiografia ha rivelato una serie di pentimenti che testimoniano l'esplorazione compositiva di Lanfranco. Il pittore ha ripensato la posizione delle gambe di Ruggiero, della testa dell'ippogrifo (inizialmente più arretrata) e della sagoma superiore della seconda ala della creatura, che emerge dalla parte superiore della schiena di Angelica e che alla fine non è stata dipinta.
Effetti chiaroscurali contrastanti - Lanfranco è ancora influenzato, tra il 1614 e il 1619, da Orazio Borgianni (1574-1616) - appaiono in entrambe le composizioni, esaltando la poesia della scena. Si registra anche la memoria dello stile di Annibale Carracci (1560-1609), come sottolineato da Erich Schleier, che in una comunicazione scritta ha riconosciuto il nostro dipinto come un'opera autografa di alta qualità. Schleier sottolinea le differenze tra i corpi nelle due redazioni dell’episodio, notando la variazione di colore dei capelli di Angelica - castani nella tela attuale e più ramati nella versione più ampia di Urbino. In entrambi i dipinti, i capelli dell’eroina sono intrecciati intorno alla testa e ciò ricorre, così come i lineamenti leggermente infantili, in altre composizioni dell'artista, in particolare l'Angelica e Medoro (New York, collezione privata), databile intorno al 1616-1617 e cioè vicina cronologicamente al nostro quadro2. Schleier nota come Lanfranco utilizzi la stessa modella in tutte queste composizioni e si chiede se si tratti della giovane Cassandra Barli, che l'artista sposò nel gennaio 1616.
Formatosi all'inizio del Seicento con il pittore bolognese Agostino Carracci (1557-1602), e poi con Annibale Carracci a Roma, Lanfranco riceve prestigiose commissioni dai cardinali Odoardo Farnese e Jacopo Sannesi tra il 1610 e il 1620. Entro il 1610-1612 compie un viaggio a Parma e Piacenza, prima di tornare a Roma. Dopo il 1620, "Lanfranco divenne il pittore più moderno e importante del tempo a Roma, e molto apprezzato da Papa Paolo V"3. Tra il 1628 e il 1633 il suo stile si evolve, avvicinandosi a un lessico neo-veneziano, con una gestione più fluida, ariosa e chiara, come si può vedere negli affreschi di Palazzo Costaguti a Roma. Nel 1634 si reca a Napoli, dove rimane fino al 1646, ricevendo numerose commissioni per grandi pale d'altare, la cupola del Gesù Nuovo e la decorazione della chiesa della Certosa di San Martino. Trascorre l'ultimo anno della sua vita a Roma, dove era tornato nel 1646.
Note
1- Erich Schleier, Giovanni Lanfranco. Un pittore barocco tra Parma, Roma e Napoli (catalogo della mostra, Parma, Reggia di Colorno, 8 settembre – 2 dicembre 2001; Napoli, Castel Sant’Elmo, 22 dicembre 2001 – 24 febbraio 2002; Roma, Palazzo Venezia, 16 marzo – 16 giugno 2002), pp. 140-141, n. 21.
2- Ibid., p. 37, fig. 14.
3- Erich Schleier, “Note sul percorso artistico di Giovanni Lanfranco”, supra, 2001-2002, p. 38.