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Jacopo Negretti detto Palma il Giovane

(Venezia, 1548 circa - 1628)

Venere nella fucina di Vulcano

Oil on canvas, 65 3/4 x 97 1/4 in (167 x 247 cm)  

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Fig. 1

Fig. 2

Fig. 3

Fig. 4

PROVENANCE


Genova, Cesare Viazzi (1857-1943) fino al 1916; acquistato in vendita privata nel 1916 a Genova da Luigi Lucatello; collezione Luigi Lucatello, per via ereditaria fino all’attuale proprietario.  

LITERATURE


- S. Mason Rinaldi, Palma il Giovane. L’opera completa, Milano 1984, p. 98, n. 191; 
- G. Grasso, La continuità di una scelta culturale. Cesare Viazzi studioso e antiquario, Genova 1988, p. 13. 

DESCRIPTION


1580-1590 circa 
Firmato (in basso a destra): iacobus palma /× f × 

Annoverato tra i capolavori profani di Palma il Giovane nel catalogo generale a lui dedicato, Venere nella fucina di Vulcano è un’opera della maturità del più celebrato pittore del Manierismo veneziano, datata agli anni Ottanta del Cinquecento e giunta a noi in ottimo stato di conservazione. 
 
La bionda dea, adorna soltanto di un drappo azzurro, sorride come sorpresa da ciò che un trio di puttini le sta portando: la luccicante armatura di Marte. Le due colombe ai piedi di Venere sembrano preludere l’amore che unirà i due facendo infuriare il marito di lei, Vulcano. Intorno a Venere, come delle giovani dame, stanno le tre Grazie: due le offrono rose e mirto, attributi della dea, e poco distante, la terza tiene in mano un dado1. La metà destra del dipinto è occupata dalla fucina di Vulcano dove quattro fabbri nerboruti e con la pelle scura come per effetto del fuoco, lavorano il metallo. È Ovidio a raccontare di come Apollo, dio del sole a cui nulla può essere celato, scopre il tradimento e lo svela a Vulcano. Il dio del fuoco, allora, cattura i due amanti con una rete e convoca gli altri dei perché giudichino come punirli.  
 
L’equilibrio della scena è tutto costruito sull’opposizione di contrari: cromatici, estetici, sociali, di genere e d’azione. A sinistra lo sguardo è attratto dalla pelle chiara delle quattro divinità con i capelli dorati. Venere, in particolare, ha i riccioli biondi raccolti in un’acconciatura a mezzaluna di gran moda tra le dame veneziane di fine Cinquecento e resa ancor più elegante da uno splendido gioiello. A destra, il gruppo degli uomini della fucina che sembrano gli unici a subire il calore del fuoco. La posizione dell’uomo in primo piano, di schiena, crea una linea quasi parallela a quella del corpo di Venere stabilendo così una sorta di continuità tra le due metà contrapposte: un gioco di echi rinforzato dall’utilizzo del rosso alle due estremità della composizione.

Sono oggi conosciute meno di una decina di opere di Palma il Giovane di soggetto profano, tra queste sono da ricordare le due tele rappresentanti Venere e Marte, una alla National Gallery di Londra (fig. 1) e l’altra al J. Paul Getty Museum (fig. 2), dove Venere presenta un’acconciatura del tutto simile a quella del nostro dipinto2, e poi Venere e Amore nella Fucina di Vulcano della Gemäldegalerie di Kassel (fig. 3).  
Il nostro dipinto, acquistato a Genova nel 1916 da Cesare Viazzi, pittore, studioso e antiquario 3, spicca tra quelli appena citati per la complessità dell’azione e la quantità di personaggi tutti intenti in diverse occupazioni. Certamente di committenza privata, le dimensioni dell’opera suggeriscono fosse destinata a un portego, cioè il salone di rappresentanza di un palazzo veneziano della fine del XVI secolo. Nella scena si possono rintracciare alcuni rimandi al Tintoretto, protagonista della scena artistica lagunare negli anni della formazione del Palma. In particolare, l’uomo di spalle con il drappo rosso e quello che apre il gruppo a sinistra sembrano essere in debito con le stesse figure affrescate dal Tintoretto nella Sala dell’Anticollegio di Palazzo Ducale (fig. 4). Per la Venere e per i puttini potrebbero essere state, invece, le incisioni di Giorgio Ghisi e Giulio Romano, diffusissime all’epoca, ad aver fornito spunti compositivi. 

Nato a Venezia nel 1548 o 1549, Jacopo Negretti è più noto come Palma il Giovane, nome che rimanda a quello del prozio, Palma il Vecchio (1480-1528 circa), artista che aveva goduto di un gran successo in laguna. Diversamente dalla maggior parte dei pittori dell’epoca, Palma non si forma in bottega. Fin dall’adolescenza si esercita invece nella copia dei grandi pittori del suo tempo: prima di tutto Tiziano a Venezia e, poi, Raffaello a Urbino e Michelangelo e Polidoro a Roma. Questa formazione fuori dall’ordinario è possibile grazie al sostegno economico che Guidobaldo II della Rovere, duca di Urbino, fornisce al giovane pittore veneziano fin dai primi anni Sessanta del Cinquecento. Palma torna nella Serenissima all’epoca della massima fama di Tintoretto e qui, dopo gli incendi che negli anni Settanta danneggiano Palazzo Ducale, partecipa al cantiere della nuova decorazione pittorica insieme a Paolo Veronese, Francesco Bassano e Tintoretto. In quegli anni, il prestigio del nostro pittore cresce velocemente mentre i grandi artisti della generazione precedente escono di scena. Dagli anni Ottanta e fino alla fine della sua vita, infatti, il Palma domina il paesaggio artistico veneziano ottenendo moltissime commissioni pubbliche e private: il suo successo è tale che gli è chiesto di portare a termine l’ultimo capolavoro di Tiziano, la Pietà, oggi alle Gallerie dell’Accademia di Venezia. Palma il Giovane occupa, senza dubbio, un ruolo assolutamente protagonista nella Maniera veneziana. 
 
Note:
1- Le Grazie sono rappresentate secondo l’iconografia codificata da Vincenzo Cartari nel suo testo Le Imagini de gli dei antichi, edito a Venezia nel 1556. Citando Pausania, il Cartari descrive “l’una di loro aveva una rosa in mano, l’altra certa cosa fatta come un dado, la terza un ramo di mirto”. 
2- Il dipinto oggi del J. Paul Getty Museum fu del poeta Giambattista Marino (1569-1625), personalità attivissima nella cultura letteraria e artistica del suo tempo. La tela fu poi donata da Marino a Giovanni Carlo Doria, figlio del Doge di Genova, mecenate e collezionista, di cui il letterato era consulente. Certamente amata da entrambi i proprietari, è scelta da Marino come soggetto della prima poesia della sua celebre raccolta di componimenti a tema artistico, La Galeria (1620).  
3- Sulla collezione di Viazzi, che possedeva anche un San Gerolamo di Palma il Giovane: G. Grasso, La continuità di una scelta culturale. Cesare Viazzi studioso e antiquario, Genova, E.R.G.A., 1988.