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Evaristo Baschenis (Bergamo, 1617 - 1677)

(Bergamo, 1617-1677)

Concerto

Olio su tela, cm 112,5 x 158

  • PROVENIENZA
  • BIBLIOGRAFIA
  • MOSTRE
  • DESCRIZIONE

Fig. 1

Fig. 2

Fig. 3

PROVENIENZA


Sotheby’s, New York, 12 gennaio 1989, lotto n. 62 (come Jan van Bijlert [Utrecht, 1598/1603-1671]); collezione privata.

BIBLIOGRAFIA


Inedito.

DESCRIZIONE


Il Concerto presentato coinvolge un ensemble di sei musicisti che si mostrano allo spettatore con pose e atteggiamenti elegantemente sobri, secondo un’estetica antibarocca. Subito si impone il volto dell’uomo che suona una viola da brazzo bassa: è seduto in primissimo piano, davanti agli altri, come fosse il leader del gruppo e rivolge al pittore – e dunque allo spettatore – uno sguardo fiero.
Anche gli altri musicisti, tranne i due a destra, ci guardano frontalmente. Si ha quasi l’impressione che, per essere ritratti, siano stati interrotti proprio mentre suonavano, che si girino un po’ imbarazzati verso il pittore. Il risultato è una scena misurata che, senza grandiosità ma con l’efficacia degli sguardi, ci mette immediatamente in rapporto con i soggetti del dipinto di cui vorremmo conoscere l’identità.
Il tema pittorico del concerto rientra nella cultura iconografica che si afferma presso la committenza privata colta tra il Cinquecento e il Seicento, quando la musica entra a pieno titolo nelle attività d’intrattenimento tipicamente aristocratiche. In questo caso, la presenza di una chitarra spagnola, suonata dal secondo musicista da sinistra, e la foggia semplice degli abiti, collocano la scena in ambito domestico e nel contesto della musica profana1. Oltre alla chitarra e alla viola da brazzo bassa, sono presenti un’arpa e un altro strumento a pizzico, probabilmente un liuto, a formare un insieme di bassi canonico a sostegno dei due strumenti soprani: un violino e un “flautino”. L’interesse per la riproduzione curatissima degli strumenti è dimostrata da dettagli puntuali come lo spessore delle corde della viola e del violino e, in quest’ultimo, il segno dello scolorimento del legno della cassa a sinistra della tastiera, nel punto dove il violinista prende lo strumento quando non lo sta suonando. Ancora nel violino vediamo, vicino all’archetto, le tracce della caduta dell’eccesso della “pece greca”, la resina che si stende sui crini dell’archetto per aumentare l’attrito tra questi e le corde. Persino il sopravanzo in lunghezza delle corde dell’arpa e della viola è descritto dal pittore che ci mostra come i fili si attorciglino disordinatamente sulla cima degli strumenti.
Questo affascinante Concerto è stato presentato in asta da Sotheby’s a New York nel 1989 con un’attribuzione a Jan van Bijlert2, pittore olandese attivo a Roma negli anni venti del XVII secolo. Del caravaggista di Utrecht sono note diverse comoposizioni di soggetto musicale ma l’attribuzione appare insostenibile per mancanza di riscontri stilistici. È grazie a Enrico De Pascale e Francesco Frangi che la paternità dell’opera è stata restituita a Evaristo Baschenis (Bergamo, 1617-1677), l’inventore della natura morta musicale.

I due studiosi hanno infatti riscontrato alcuni caratteri tipici della produzione del pittore bergamasco: cultura di appartentenza, influenze artistiche e interessi iconografici.

Soprattutto nella viso del violinista a sinistra del gruppo, i due studiosi hanno riconosciuto il magistero di Gian Giacomo Barbelli (Crema, 1606-1656), presso la bottega del quale Baschenis trascorre alcuni fondamentali anni di formazione fino al 1643. Alla lezione barbelliana si combina quella del principale ritrattista bergamasco del Seicento: Carlo Ceresa (1609-1679). Di quest’ultimo gli studiosi riscontrano influenze importanti tanto nella tecnica pittorica che predilige una stesura magra che lascia emergere la preparazione della tela (visibile soprattutto nel bruno del fondo), quanto nel “ruvido realismo” con cui sono rappresentate le figure. Ancora la vicinanza ai modelli ceresiani è evidente nella meticolosa resa dei passaggi chiaroscurali e in una particolare predilezione per “l’utilizzo di una campitura piatta, di singolare compattezza, che conferisce agli abiti e alle passamanerie una conformazione irrigidita” evidente ad esempio nella casacca rossa del violinista.

A corroborare l’attribuzione del Concerto a Evaristo Baschenis, De Pascale e Frangi hanno proposto confronti stringenti con i pochi dipinti con figure facenti parte del corpus del pittore: la Cucina con rami e fantesca (collezione privata; fig. 1), il Ragazzo con canestra di pane dell’Accademia Carrara di Bergamo (fig. 2) e la perduta Scena di mercato (fig.3) nota soltanto attraverso una fotografia3. Notando in particolare come “la fisionomia del giovane arpista in secondo piano al centro della scena si ponga come un preciso precedente, nella sua indole quasi intimidita e nella fissità magnetica dello sguardo, del più tardo Ragazzo con canestra di pane della Carrara” e, ancora, sottolineando che le fattezze della fruttivendola della Scena di mercato “denotano chiare analogie con quelle del violinista del nostro dipinto, del quale ripete il dettaglio dei boccoli rilucenti che ne incorniciano il volto carnoso”.

Per giungere a una proposta di datazione del dipinto non si può prescindere dall’unico dipinto di Baschenis databile con relativa certezza sulla base dell’età degli effigiati: il celebre Trittico Agliardi del 1665 circa. Secondo gli studiosi, confrontato al Trittico, il nostro Concerto mostra caratteri più acerbi che, insieme alla presenza ancora forte dell’influenza di Barbelli e Ceresa, portano a proporre per il dipinto una datazione precoce, entro gli anni Quaranta del secolo.
Le ricerche di Enrico de Pascale hanno permesso il ritrovamento di un inventario di beni redatto alla morte di Baschenis (17 marzo 1677) che documenta la presenza nello studio del pittore di un centinaio di dipinti tra cui 58 autografi e 32 del maestro Gian Giacomo Barbelli4. Vale la pena ricordare, tra le tele autografe, “un quadro grande sopra uno che suona il Basso” e cioè la viola da braccio bassa, quella suonata dal protagonista del nostro dipinto.
Evaristo Baschenis nasce, nel 1617, in una famiglia che da due secoli si era specializzata in pittura a fresco. Sotto il dominio veneziano, Bergamo nel Cinquecento aveva accolto Lorenzo Lotto (dal 1513 al 1525) e visto l’attività del grande ritrattista Giovan Battista Moroni. Alla metà del secolo successivo, Luca Giordano, Pietro Liberi, Antonio Zanchi e altri pittori erano giunti in città per contribuire al grande cantiere di Santa Maria Maggiore.
Rimasto orfano in seguito alla peste del 1630, Evaristo Baschenis decide di intraprendere la carriera artistica e nel 1639 comincia un apprendistato di quattro anni presso Gian Giacomo Barbelli (1604-1656). Qui impara la tecnica prospettica della “quadratura” usata da Barbelli per affrescare figure e oggetti negli scorci più inconsueti. Incassata l’eredità paterna, nel 1643, Evaristo Baschenis prende i voti clericali e continua autonomamente la sua carriera artistica, visita diverse città italiane (passa anche due mesi a Roma nel 1650) e intrattiene rapporti con molti pittori italiani e stranieri. Tanti sono i suoi impegni “pittorici” che viene richiamato per mancanza d’assiduità nell’esercizio dei suoi doveri di prelato. Evaristo si specializza nella produzione di due tipologie di nature morte: le cucine e le composizioni di strumenti musicali. Quest’ultimo tipo di soggetto in particolare, che possiamo considerare una sua peculiare invenzione, gli garantirà successo e fama tra i contemporanei e i posteri. Alla sua morte, nel 1677, nel suo atelier erano conservati un centinaio di dipinti, diversi strumenti musicali e alcuni disegni preparatori che, ereditati dai suoi due assistenti – Cristoforo Tasca e Giovan Battista Cavallini – furono all’origine di moltissime copie e varianti delle nature morte del maestro. Più dei due apprendisti, è Bartolomeo Bettera a portare avanti le ricerche di Baschenis continuando la sua produzione di nature morte musicali.
 

Note
[1] Secondo il Maestro e musicologo Lorenzo Girodo, esperto conoscitore di musica barocca, vista la mancanza di un cantore, i suonatori potrebbero essere impegnti nell’esecuzione di una musica per danza oppure in quella strumentale di un madrigale o di una canzonetta a tre voci o, ancora, in quella di una delle prime forme di sonata a due canti e basso continuo estremamente in voga per tutto il Seicento. Tra i compositori bergamaschi coevi al dipinto si ricordano Tarquinio Merula (Busseto 1595-Cremona 1665) e di Maurizio Cazzati  (Luzzara 1616-Mantova, 1678), entrambi attivi alla metà del Seicento presso la Basilica di Santa Maria Maggiore a Bergamo, oppure di Giovanni Legrenzi (Clusone 1626-Venezia 1690) che nella medesima Basilica fu organista dal 30 agosto 1645 all'ottobre 1656 (si veda: M.Eynard, La musique a Bergame au XVII siècle, in Evaristo Baschenis (1617-1677). Le triomphe des instruments de musique dans la peinture du XVIIe siècle, catalogo della mostra (Parigi, Galerie Canesso, 6 ottobre-17 dicembre 2022), Parigi 2022, pp.26-31).
[2] Old Master Paintings, Sotheby’s, New York, January 12, 1989, Lot n. 62.
[3] La tela firmata dal pittore bergamasco faceva parte della collezione Treccani Alfieri e andò distrutta in un incendio nel 1932. Una buona fotografia è conservata nella fototeca di Edoardo Arslan (Pavia, Università degli Studi).
[4] Per il rapporto tra Baschenis e il suo maestro: E. De Pascale, Evaristo Baschenis e la natura morta…, cit. 1996, n. 24, pp. 184-185; n. 42, pp. 228-231; per le tele presenti nello studio del pittore nel 1677: E. De Pascale, Baschenis “privato”. L’eredità, la bottega, la collezione in Evaristo Baschenis e la natura morta…, cit. 1996, pp. 59-64.