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Giuseppe Cesari, detto il Cavalier d’Arpino

(Arpino 1568 - Roma 1640)

La vittoria di Costantino

Olio su tela, 174 x 382 cm

  • PROVENIENZA
  • BIBLIOGRAFIA
  • MOSTRE
  • DESCRIZIONE

PROVENIENZA


Ferrara, collezione Saracco Riminaldi (Inventario Saracco-Riminaldi, 19 febbraio 1878, n° 1189: «Quadro grande a chiaroscuro rappresentante una battaglia. Lire 15»).

BIBLIOGRAFIA


- Herwarth Röttgen, in Il Cavalier d’Arpino, cat. mostra, Roma, Palazzo Venezia, giugno-luglio 1973, p. 48, fig. 26;
- Herwarth Röttgen, Il Cavalier Giuseppe Cesari D’Arpino. Un grande pittore nello splendore della fama e nell’incostanza della fortuna, Roma, 2002, p. 483, n. 267;
- Marco Simone Bolzoni, Il Cavalier Giuseppe Cesari d’Arpino. Maestro del disegno. Catalogo ragionato dell’opera grafica, Roma, 2013, p. 394, n. 291.

DESCRIZIONE


Questo dipinto dal disegno nitido e dinamico, forse l’ultimo capolavoro del Cavalier d’Arpino, rappresenta la vittoria di Costantino su Massenzio nei pressi del Ponte Milvio, a nord di Roma. L’eroe Costantino conduce la battaglia sul suo cavallo bianco rampante mentre scaglia la lancia e guarda nella direzione del suo nemico, Massenzio, riconoscibile per via della corona che indossa, caduto a terra davanti al ponte e preso d’assalto dai soldati nemici. Nell’affresco di Raffaello (1483-1520) raffigurante lo stesso soggetto ed eseguito all’incirca un secolo prima in una delle Stanze Vaticane, Massenzio è invece sul punto di essere inghiottito dal Tevere. In entrambe le opere l’azione si svolge con grande teatralità, ma se la scena dipinta da Raffaello appare come un groviglio intricato, il Cavalier d’Arpino semplifica i movimenti delle due armate e le pose di ciascun soldato e veicola la drammaticità dando evidenza in particolare ad alcuni cavalli, come ad esempio quello in primo piano a destra che, in un ultimo sforzo, tenta di rialzarsi.
Il Cavalier d’Arpino si era già cimentato nella rappresentazione di un’ambiziosa scena militare nel grande affresco con la Battaglia di Tullio Ostilio contro i Veienti (Roma, Palazzo dei Conservatori, Salone) dove già compaiono alcuni elementi inseriti in questo dipinto, in particolare nelle pose contorte dei corpi riversi al suolo. L’atteggiamento esasperato di alcuni cavalli, immortalati come in un  ha un fermo immagine, conferisce alla tela un impatto visivo di grande potenza. Su Costantino si staglia una croce, lo stesso simbolo che aveva visto in sogno la notte prima della battaglia decisiva: sarebbe diventato infatti il primo Imperatore romano a convertirsi al Cristianesimo. Portando l’armata alla vittoria su Massenzio nel 312, Costantino riconquistò l’Italia: si trattò di un trionfo cruciale. A chi visitava Roma, Costantino appariva come l’anello di congiunzione tra due mondi, poiché anche tramite la costruzione delle grandi basiliche, dette appunto «costantiniane», trasformò la Roma pagana, che ancora incarnava, in una capitale cristiana.
Herwarth Röttgen colloca l’opera tra gli anni 1635-1640, ritenendola uno degli ultimi lavori del Cavalier d’Arpino per evidenti ragioni di stile. Infatti, il dipinto è stato eseguito con lunghe pennellate caratteristiche dell’ultimo periodo dell’artista, ed è stilisticamente affine al Ratto delle Sabine affrescato nel Salone del Palazzo dei Conservatori a Roma.
L’artista, nato ad Arpino, giunse nel 1582 a Roma, città dove si svolse tutta la sua carriera. Lì, diresse un’importante bottega dove, fra i molteplici allievi, possiamo contare il giovane Caravaggio (1571-1610), appena arrivato dalla sua Lombardia natia per stabilirsi nella Città Eterna, lavorando come pittore di fiori e frutta. A Roma, il Cavalier d’Arpino poté beneficiare del sostegno dei pontefici Sisto V (1521-1590) e Clemente VIII (1536-1605). La sua attività pittorica – sia ad affresco che su tavola – s’inserisce tra il Manierismo e il Barocco. Tra la fine del XVI e l’inizio del XVII secolo, il nome del Cavalier d’Arpino acquisì una fama notevole, comparabile a quella di Caravaggio, in seguito al successo del ciclo pittorico di san Matteo nella Cappella Contarelli (chiesa di San Luigi dei Francesi) dove hanno lavorato entrambi, l’uno alla volta e l’altro ai dipinti. 
Questo lungo fregio monocromo, dipinto come un bassorilievo, evoca i sarcofagi romani che sono stati sicuramente una delle fonti visuali d’ispirazione, tra questi ad esempio il Sarcofago Ludovisi (III sec. d.C) per la testa del cavallo che nitrisce. Lo stesso motivo compare nello scorso secolo nella Guernica (1937) di Picasso, un altro brillante manifesto contro la violenza della guerra dove si ritrova, in bianco e nero, tutta la forza tragica della narrazione.