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Bartolomeo Cavarozzi

(Viterbo, 1587 – Rome, 1625)

The Lament of Aminta

Oil on canvas, 78 x 102.5 cm

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PROVENANCE


Possibilmente, nel 1615, nella collezione di Don Juan de Tassis y Peralta, conte di Villamediana (secondo Papi 2023, p. 195 e Sanguineti 2017, p. 34); potrebbe corrispondere alla voce d’inventario (1617-1621) della collezione di Giovan Carlo Doria, a Genova (secondo Papi 2023, p. 195). Genova, collezione privata; per via ereditaria, Torino, collezione privata.

Opera notificata dallo stato italiano

LITERATURE


- B. Nicolson, Caravaggism in Europe, II ed. a cura di L. Vertova, Torino 1990, I, p. 89 (opera elencata come “Caravaggesque unknown, roman based”);
- G. Papi, Il primo ‘Lamento di Aminta’ e altri approfondimenti su Bartolomeo Cavarozzi, in «Paragone», 77 (695), 2008, pp. 39-51;
- G. Papi, Gli anni oscuri di Bartolomeo Cavarozzi, in «Storia dell’arte», 135, 2013, pp. 77-78;
- G. Papi, Bartolomeo Cavarozzi, Soncino 2015, pp. 20-24, 28, 65, 197, n. 13, tavv XIV-XV;
- D. Sanguineti, Genova 1617: incontro con Bartolomeo Cavarozzi, in Bartolomeo Cavarozzi a Genova, catalogo della mostra a cura di G. Zanelli (Genova, Galleria Nazionale di Palazzo Spinola, 6 dicembre 2017 – 8 aprile 2018), Genova 2017, p. 31-61, fig. 2;
- G. Papi in Cecco del Caravaggio. L’allievo modello, catalogo della mostra a cura di G. Papi (Bergamo, Accademia Carrara, 28 gennaio – 4 giugno 2023), Milano 2023, pp. 192-195, n. 33.

EXHIBITIONS


Cecco del Caravaggio. L’allievo modello, catalogo della mostra a cura di G. Papi (Bergamo, Accademia Carrara, 28 gennaio – 4 giugno 2023).

DESCRIPTION


Opere di confronto:
Lamento di Aminta, olio su tela, 88 x 113 cm, ubicazione ignota, già Bergamo, collezione Perolari. Pubblicata con immagine in G. Papi, Bartolomeo Cavarozzi, Soncino 2015, p. 198, n. 14, pp. 112-113, tavv. XVI-XVII.
Lamento di Aminta, olio su tela, 100 x 120 cm, Parigi, Musée du Louvre (inv. RF 1937 6), cui è donato nel 1937 da Paul Jamot (1863-1939). Dubitativamente giudicata autografa da Papi (in Cecco del Caravaggio. L’allievo modello, cat. della mostra a cura di G. Papi (Bergamo, Accademia Carrara, 28 gennaio – 4 giugno 2023), Milano 2023, p. 195) e già pubblicata con immagine in G. Papi, Bartolomeo Cavarozzi, Soncino 2015, p. 198, n. 15, p. 213, fig. 5.
Lamento di Aminta, olio su tela, cm 82,5 x 106,5, ubicazione ignota, già Londra, presso Matthiesen (1989); Spoleto, presso Galleria Paolo Sapori; Napoli, collezione Piedimonte; New York, presso Weitzner (1955). Pubblicata con immagini in G. Papi, Bartolomeo Cavarozzi, Soncino 2015, p. 198, n. 16, pp. 145-147, tavv. XLIX-LI.
Lamento di Aminta, olio su tela, 99,6 x 75,6 cm, Philadelphia Museum of Arts (inv. 2010-228-1) cui è donato nel 2010 da Mr. e Mrs. Herman Lefco, eredi di Seymour e Dorothy Wanderman. Pubblicata con immagine G. Papi, Bartolomeo Cavarozzi, Soncino 2015, p. 223, fig. 15 (come copia da Bartolomeo Cavarozzi).

Il Lamento di Aminta di Bartolomeo Cavarozzi, dipinto tra il 1613 e il 1614, è un importante esempio del primo caravaggismo romano. L’immediata adesione alla nuova corrente pittorica si esprime non soltanto nel luminismo drammatico di chiaroscuri estremamente contrastati, ma anche nella ricerca in senso naturalistico della pittura “dal vero” e nella scelta di un soggetto di per sé pienamente in accordo con il repertorio caravaggesco. Il titolo con cui è noto il dipinto si deve allo spartito aperto al centro del tavolo, tra i grappoli d’uva e il violino in scorcio: si tratta del Dolor che sì mi crucii, un madrigale tratto dalla favola pastorale Aminta di Torquato Tasso musicata da Erasmo Marotta e pubblicata a Venezia nel 16001.
L’Aminta, che ebbe molto successo già nei primissimi anni dopo la sua prima rappresentazione a Ferrara nel 1573, è un testo teatrale in cinque atti ispirato al mito ovidiano di Piramo e Tisbe. Il giovane pastore Aminta, forse impersonato da uno dei due giovinetti ritratti dal Cavarozzi, è innamorato della ninfa Silvia che però non ricambia il suo sentimento. Nemmeno quando il pastore salva l’amata dalla violenza di un satiro lei si mostra gentile verso il suo pretendente. L’amore del giovane è tale da decidere di uccidersi quando lo raggiunge la notizia della presunta morte di Silvia. È proprio questo il passaggio del Dolor che sì mi crucii rappresentato nel dipinto di Cavarozzi, i cui personaggi appaiono mossi da un’intensa nostalgia. Diversamente dal mito romano, la favola di Tasso si conclude con un lieto fine. Infatti, venuta a sapere che Aminta si è lanciato da una rupe pensandola morta, Silvia è finalmente commossa e corre a cercare il corpo del pastorello. Nell’ultimo atto si racconta che il giovane innamorato è stato rianimato da un bacio appassionato della ninfa Silvia.
Tra le versioni note di questo soggetto (si vedano le opere di confronto nella pagina precedente) la nostra è giudicata da Gianni Papi la più «intimamente caravaggesca» per l’adesione a un «naturalismo più fragrante e nitido»2. Per l’alta qualità e per il confronto stilistico della tela con opere dipinte da Cavarozzi all’inizio del secondo decennio del Seicento, Papi ipotizza che la stessa tela costituisca il prototipo della fortunata iconografia del Lamento di Aminta e si collochi tra i primi frutti della svolta caravaggista del pittore3. Sia Papi che Daniele Sanguineti ipotizzano che sia questa la redazione del dipinto a cui si riferisce un documento del 1615 con cui Don Juan de Tassis y Peralta, conte di Villamediana, da Genova, chiede al segretario del granduca Cosimo II de’ Medici un permesso di esportazione verso la Spagna per alcune opere acquistate da Siena4. Nell’elenco, redatto a Genova, compare una tela con «due putti, che uno sona el flauto et l’altro ha posato un violino» detta del Caravaggio ma da tutti gli studiosi concordemente ricollegata all’opera di Cavarozzi. Nel 1613 Villamediana era entrato in contatto con il protettore del pittore viterbese, Giovan Battista Crescenzi, forse il responsabile dell’attribuzione dell’opera al più celebre Merisi.
Altro interessante dato documentario è la presenza di una tela con «due astori di mano di Bartolomeo da Viterbo» nell’inventario (1617-1621) della collezione del genovese Giovan Carlo Doria. Gianni Papi ipotizza questo possa essere il dipinto che Villamediana avrebbe voluto portare in Spagna e che, raggiunta Genova, per qualche ragione sia rimasto in città. Anche per questa ragione, vista la provenienza genovese testimoniata dai proprietari della nostra versione del Lamento di Aminta, Papi e Sanguineti sostengono l’ipotesi di un’identità del dipinto Villamediana, poi Doria e oggi in collezione privata a Torino.
Bartolomeo Cavarozzi nasce il 15 febbraio 1587 a Viterbo. Giunto a Roma a 13 anni circa, entra a bottega prima dal viterbese Tarquinio Ligustri e poi da Bartolomeo Roncalli, detto il Pomarancio. È tramite quest’ultimo che Cavarozzi entra in contatto con la famiglia Crescenzi, presso cui Pomarancio lavorava. L’importanza della famiglia romana per la carriera del giovane pittore è testimoniata dal nome
“Bartolomeo de’ Crescenzi” che gli è dato biografo Giovanni Baglione, che ebbe modo di conoscere personalmente Cavarozzi a Roma e ne pubblicò la vita nel 16425. È Baglione a registrare il deciso cambio di stile del giovane Bartolomeo che, abbandonato il manierismo del suo maestro Pomarancio, «diedesi a ritrarre dal naturale con gran diligenza, e con finimenti da grand’amore accompagnati» aderendo cioè al primissimo caravaggismo romano. Tale virata stilistica dev’essere avvenuta prima del 1617, quando il pittore si sposta in Spagna – facendo tappa per qualche mese a Genova – al seguito del suo mecenate, Giovanni Battista Crescenzi, che Filippo III aveva nominato sovrintendente alle architetture reali. Le fonti antiche testimoniano che in Spagna Cavarozzi dipinge molte opere, la più celebre delle quali è senz’altro la Sacra Famiglia con Santa Caterina del Museo del Prado di Madrid. Non è nota la data del rientro del pittore a Roma ma sicuramente nei primi anni Venti Cavarozzi è di nuovo in città e vive con la madre, non più nella casa del marchese Crescenzi che rimarrà invece in Spagna per quasi due decenni. Bartolomeo Cavarozzi muore a Roma il 21 settembre del 1625 «non avendo avuto campo, come la sua virtù prometteva, di far opere meravigliose in questa Città»6.

Note:
[1] In particolare, nel dipinto vediamo le pagine 16 e 17 dell’Aminta musicale: Il primo libro di madrigali a cinque voci, con un dialogo in otto (Venezia, 1600), adattamento musicale della favola pastorale Aminta di Torquato Tasso (1544-1595) composto dal musicista siciliano Erasmo Marotta (1578-1641).
[2] G. Papi, Bartolomeo Cavarozzi, Soncino 2015, pp. 22-23.
[3] Per il momento della svolta, Eric Schleier ha prudentemente indicato due estremi cronologici: il 1610, data dell’ultima opera di Cavarozzi ancora non caravaggesca, e il 1617 quando il pittore parte per la Spagna (E. Schleier, Bartolomeo Cavarozzi, in Caravaggio e il suo tempo catalogo della mostra, Napoli, Museo Nazionale di Capodimonte, 14 maggio-30 giugno 1985, a cura di M. Gregori, R. E. Spear, L. Salerno, Napoli, 1985, p. 126). Luigi Spezzaferro ha proposto di stringere l’intervallo intorno alla metà del secondo decennio (L. Spezzaferro, Un imprenditore del primo Seicento: Giovanni Battista Crescenzi, in «Ricerche di storia dell’arte», 26, 1985, p. 55).
[4] Il documento è pubblicato da E. Fumagalli, Precoci citazioni di opere del Caravaggio in alcuni documenti inediti, in «Paragone. Arte», XLV, 535-537 (seconda serie, 47-48), 1994, pp. 114-116. Per il collegamento con questa tela: G. Papi, Il primo ‘Lamento di Aminta’ e altri approfondimenti su Bartolomeo Cavarozzi, in «Paragone», 77 (695), 2008, p. 42; D. Sanguineti, Genova 1617: incontro con Bartolomeo Cavarozzi, in Bartolomeo Cavarozzi a Genova, catalogo della mostra a cura di G. Zanelli (Genova, Galleria Nazionale di Palazzo Spinola, 6 dicembre 2017 – 8 aprile 2018), Genova 2017, p. 34.
[5] G. Baglione, Le Vite de' Pittori, Scultori et Architetti. Dal Pontificato di Gregorio XIII del 1572 in fino a' tempi di Papa Urbano VIII nel 1642, Roma 1642, p. 287.
[6] Ivi.