next prev

Alessandro Magnasco

(Genova, 1667-1749)

Il Pittor pitocco o Ritratto simbolico dell'artista

Olio su tela, 60,5 x 42,5 cm  

  • PROVENIENZA
  • BIBLIOGRAFIA
  • MOSTRE
  • DESCRIZIONE

PROVENIENZA


Genova, 1912; Venezia, collezione Benno Geiger (1882-1965); Venezia, collezione Italico Brass (1870-1943); 1960, Lugano, collezione privata; 2010, Parigi, galerie Canesso; 2011, Milano, collezione privata.
 

BIBLIOGRAFIA


- Benno Geiger, Alessandro Magnasco, Vienna, 1923, p. 56, n. 247;
- Giuseppe Delogu, Pittori minori liguri, lombardi, piemontesi del Seicento e Settecento, Venezia, 1931, p. 128, fig. 152;
- Alessandro Morandotti, Cinque Pittori del Settecento: Ghislandi, Crespi, Magnasco, Bazzani, Ceruti, cat. quarta mostra d’arte antica organizzata a cura di Antiquaria, Roma, palazzo Massimo alle Colonne, aprile 1943, fig. 44;
- Maria Pospisil, Magnasco, Firenze, 1944, p. XXXV, fig. 147 [fig. 149];
- Benno Geiger, Magnasco, Bergamo, 1949, p. 144, fig. 149;
- Laura Muti e Daniela De Sarno Prignano, Alessandro Magnasco, Faenza, 1994, pp. 258-259, n. 340, p. 487, fig. 280;
- Fausta Franchini Guelfi, in Alessandro Magnasco (1667-1749). Les années de la maturité d’un peintre anticonformiste, cat. della mostra a cura di Fausta Franchini Guelfi, Parigi, Galerie Canesso, 25 novembre 2015 – 31 gennaio 2016; Genova, Musei di Strada Nuova – Palazzo Bianco, 25 febbraio – 5 giugno 2016, pp. 34-35, n. 1.

MOSTRE


Alessandro Magnasco (1667-1749). Les années de la maturité d’un peintre anticonformiste, cat. della mostra a cura di Fausta Franchini Guelfi, Parigi Galerie Canesso, 25 novembre 2015 – 31 gennaio 2016; Genova, Musei di Strada Nuova – Palazzo Bianco, 25 febbraio – 5 giugno 2016.
 

DESCRIZIONE


L’iconografia del «pittor pitocco» o mendicante, più volte e variamente dipinta da Alessandro Magnasco, rappresenta un pittore povero che, in un interno buio e spoglio, ritrae dal vero un violinista di strada. Quest’ultimo, con il violino sottobraccio, sembra cantare, reggendo nella mano destra uno spartito e accompagnandosi con il braccio sinistro. Attraverso questo gioco di mise en abyme, Magnasco getta uno sguardo sarcastico sulla condizione dell’artista, sia esso pittore o musicista. A destra, una donna che allatta un bambino evoca l’iconografia della Carità, mentre, dietro alle spalle del pittore, appare un giovane e arruffato assistente. 
L’angolo in basso a destra è occupato da un lungo fucile e dalla corazza di un’armatura, due elementi ricorrenti nelle tele di Magnasco, che riflettono la luce della finestra nell’angolo opposto, la stessa che colpisce la spalla sinistra del pittore e, ancora più intensamente, la donna. 
Il soggetto, così come la grafia longilinea e tormentata, riportano a evidenti precedenti figurativi, in particolare quelli della serie dei mendicanti di Jacques Callot (1592 ?-1635).
Laura Muti e Daniela De Sarno Prignano (1994) datano il dipinto agli anni 1722-1723; Fausta Franchini Guelfi, per ragioni stilistiche, suggerisce sia stato eseguito più avanti nella carriera dell’artista, intorno al 1730. In un’altra versione di questo tema, conservata al County Museum of Art di Los Angeles, il violinista è sostituito da un semplice mendicante, e in un’altra ancora da un mendicante con un pappagallo (Praga, Národní Galerie). Tutte le variazioni sullo stesso soggetto – il cui elenco qui non è esaustivo – ci danno la misura dell’immaginazione estrosa del nostro artista. Si tratta sempre di un ritratto simbolico e non realistico, nel quale l’artista si identifica col suo soggetto. Di fatto, quando Magnasco si ritrae fedelmente, mostra tutt’altre sembianze, come nella Scena di caccia del Wadsworth Atheneum de Hartford e, in particolare, nel suo dipinto testamentario, Trattenimento in un giardino d'Albaro (Genova, Musei di Strada Nuova – Palazzo Bianco), dove appare riccamente vestito, mentre ritrae un gruppo di nobili genovesi sulla terrazza della loro villa. 
Scegliendo per soggetto i mendicanti, come nel caso della nostra tela, Magnasco punta deliberatamente a un approccio antiaccademico che si esprime anche nella stesura della materia: rifiuta i contorni delineati e i colori brillanti per privilegiare invece una gamma cromatica scura e terrosa (marroni e grigi) e una pennellata frammentata, mossa, non assoggettata al disegno. 

Alessandro Magnasco è stato riscoperto negli anni 1911-1930, grazie all’impegno dello studioso Benno Geiger, che gli dedica una serie di mostre nel 1914, alla vigilia della Prima guerra mondiale, e pubblica il primo catalogo del pittore (contente solo settanta opere). Il corpus dell’artista cresce rapidamente nei decenni successivi, con numerose aggiunte, fino a giungere alla seconda gigantesca e documentatissima monografia pubblicata nel 1949. 
Il pittore genovese, estremamente capace e prolifico, lascia Genova per Milano dopo la morte del padre, anch’egli pittore, Stefano Magnasco (ca. 1635-1672), per entrare, intorno al 1677, nella bottega milanese di Filippo Abbiati (1640-1715). Presto si distingue come pittore di figura e lavora sia solo che in collaborazione con colleghi paesaggisti (Antonio Francesco Peruzzini [1646/47-1724], Crescenzio Onofri [ca. 1630-1713/15], Marco Ricci [1676-1730], Nicola Van Houbraken [1660-1723] e, a Firenze, con il francese Jean-Baptiste Feret [1664/1665-1739]) o con il pittore di rovine Clemente Spera (ca. 1661-1742). Nel 1703 è documentato a Firenze con Peruzzini e, per il Gran Principe, realizza dipinti raffinati come la Scena di caccia (Hartford, Wadsworth Atheneum). A Firenze ha certamente occasione di studiare le incisioni di Jacques Callot, la cui influenza è evidente nell’affinamento dello stile grafico delle sue figure, a metà strada tra l’arte del genovese Valerio Castello (1624-1659) e quella dell'amico veneziano Sebastiano Ricci (1659-1734), o più tardi di Francesco Guardi (1712-1792). Nel 1708 torna a Genova per sposarsi, e un anno più tardi è attestato a Milano, dove il suo nome appare regolarmente tra quelli dell’Accademia dei pittori della città fino al 1719. Grazie a un incarico ricevuto dal governatore austriaco di Milano, Girolamo Colloredo-Mels, si assicura successo presso le grandi famiglie milanesi: Archinto, Casnedi, Visconti, Angelini e altri. Per tutta la vita mantiene i contatti con la città natale, dove erano rimaste la madre e i fratelli, e dove torna per passare gli ultimi anni della sua vita, ancora in piena attività, come racconta il suo biografo Carlo Giuseppe Ratti (1737-1795) nelle sue Vite de’pittori, scultori ed architetti genovesi, Genova, 1769.