next prev

Francesco Montelatici, dit Cecco Bravo (Firenze 1601 - Innsbruck 1661)

(Firenze, 1601 – Innsbruck, 1661)

Ulisse e Nausicaa

Olio su tela, 97 x 135 cm.

  • PROVENIENZA
  • BIBLIOGRAFIA
  • MOSTRE
  • DESCRIZIONE

PROVENIENZA


Belgio, collezione privata; Houston (Texas), collezione Mark Fehrs Haukohl.

BIBLIOGRAFIA


 -Véronique Damian, Deux caravagesques lombards à Rome et quelques récentes acquisitions, Parigi, Galerie Canesso, 2001, pp. 46-49;
- Francesca Baldassari, La collezione Piero ed Elena Bigongiari. Il Seicento fiorentino tra « favola » e dramma, Cassa di Risparmio di Pistoia et Pescia , Milano, 2004, pp. 33-35, fig. 22;
- Sandro Bellesi, Catalogo dei pittori fiorentini del ‘600 e ‘700. Biografie e opere, 3 vol., Firenze, 2009, I, p. 204;
- Giuseppe Cantelli, Repertorio della Pittura Fiorentina del Seicento, Aggiornamento, 2 vol., Pontedera, 2009, I, p. 152; - Francesca Baldassari, La Pittura del Seicento a Firenze. Indice degli artisti e delle loro Opere, Torino, 2009, p. 558, fig. 337.

DESCRIZIONE



Il nostro dipinto, autentico esemplare di pura pittura, porta un nuovo contributo alla ricostruzione ed alla comprensione dell’opera di colui che fu, senza dubbio, il più stravagante rappresentante della scuola fiorentina del XVII° secolo. La materia è ovunque sfilacciata e sfumata, senza contorni precisi, eppure sorprende che l’artista non rinunci mai alla chiarezza del disegno. Queste caratteristiche ci rimandano al Cecco Bravo della maturità, dopo il 1650, comunque prima del 1660: data della sua partenza per Innsbruck alla volta della corte dell’Arciduca Ferdinando Carlo e di Anna de’ Medici. In questo decennio Cecco Bravo sviluppa nei suoi dipinti, a destinazione essenzialmente privata, una modernissima sperimentazione stilistica, che oscilla tra la poetica della scuola fiorentina e quella della scuola veneta. Della prima, conserva la morbidezza della materia, introdotta nella pittura fiorentina dal suo caposcuola: Francesco Furini (1603-1646), ma che, al di là dei confini fiorentini, è debitrice all’arte del Correggio (ca. 1489 – 1534). Il tutto si traduce così nell’utilizzo di colori evanescenti dai toni tenui, compresi, come in questo caso, i gialli, i rossi o l’originale lilla, caratteristico della tavolozza del nostro artista. Della scuola veneta, invece, mostra di conoscere la tecnica pittorica cara a Bernardo Strozzi (1581- 1644), da cui riprende la predilezione per i bianchi, lavorati unicamente nello spessore della materia, senza mescolarli ad alcun altro colore. Alcune parti del nostro dipinto ne sono una testimonianza magistrale: il ginocchio ed il panneggio che lo circonda nella figura di Nausica e l’estremità della manica del manto della regina, in primo piano. La tecnica allusiva e rapida di Cecco evoca anche la libertà pittorica del Tiziano degli ultimi anni, ma anche lo stile dei contemporanei a Venezia: Sebastiano Mazzoni (1611-1678), Francesco Maffei (1600-1660) o Girolamo Ferabosco (1604/05-1679). Le luci sono rese solo tramite i colori, tra cui spicca il bianco, che determinano il ritmo del primo piano, mentre lo sfondo è lasciato nell’oscurità. La definizione di uno spazio tridimensionale è abolita: impossibile giudicare la distanza che separa i protagonisti della storia dal monte Olimpo, da cui Minerva ed Ermes osservano la scena. Resta soltanto il tocco brioso, il disegno schizzato a larghe pennellate e l’eccentricità che hanno reso noto Cecco Bravo. I contorni dei volti nella parte inferiore del dipinto sono volutamente indefiniti, così come le mani dalle dita appuntite, talmente espressive nelle loro pose ricercate da ricordare una sorta di balletto. Il confronto stilistico con altre opere dell’artista ci porta a situare il nostro dipinto tra Giuseppe e la moglie di Putifarre (Firenze, Galleria degli Uffizi) - databile tra 1655 e 1660 - e il tardo Apollo e Dafne (Ravenna, Pinacoteca Comunale)(1). Ulisse e Nausica condivide con il Giuseppe e la moglie di Putifarre l’originale posa della figura femminile, a sinistra, con una gamba ripiegata indietro e la ripresa delle scarpe rosse in primo piano. Nel dipinto in analisi, Cecco Bravo illustra un episodio della storia antica, tratto dal canto VI dell’Odissea di Omero. Rappresenta, infatti, il momento in cui Ulisse declina la proposta del re Alcinoo e della regina Arete di sposare la loro figlia Nausica. La scelta di questo particolare soggetto ci pare un unicum nella pittura fiorentina del XVII° secolo, dato che, solitamente, gli artisti prediligevano l’incontro di Ulisse e Nausica presso il ruscello e il momento, pittoresco, in cui lei gli tende le vesti per coprire le sue nudità. Il nostro episodio è legato ad una dimensione onirica, così cara al nostro artista e da lui sviluppata particolarmente in una serie di disegni di fantasia. Dopo aver lasciato l’isola di Calipso, Ulisse naufraga e finisce sulla costa del paese dei Feaci. Minerva interviene in favore di Ulisse per far sì che i Feaci lo aiutino nel suo rientro ad Itaca. La dea suggerisce in sogno a Nausica di andare a lavare le sue vesti al ruscello. Là Nausica incontra Ulisse, che Minerva aveva dotato di una bellezza sovrannaturale “Maggior d’aspetto, e più ricolmo in faccia/
Rese, e più fresco [...] Di grazia irradïato e di beltade” e la giovane non può che invaghirsene. Ulisse viene accolto calorosamente dal re Alcinoo e dalla regina Arete e narra loro le sue avventure. Toccati dal suo racconto e dalle sue imprese, gli propongono la loro figlia in sposa, ma Ulisse rifiuta perché il suo unico desiderio é quello di poter infine tornare alla sua isola, Itaca, e ritrovare sua moglie Penelope, che lo aspetta da più di vent’anni. Il re mette allora a sua disposizione un vascello e lo fa accompagnare, carico di doni, fino all’imbarcazione. La graziosa Nausica “ dal braccio di neve”, la cui bellezza ed aria da giovane vergine sembravano immortali, è immersa da Cecco nello sfumato, per accentuarne la sensualità. E’ accompagnata da un giovane Amore che punta il suo arco verso l’eroe. Più spesso attributo di Venere, Amore è introdotto volentieri dal nostro artista nelle storie di amore non corrisposto: basti pensare allo stesso Amorino nel cielo dell’Apollo e Dafne della Pinacoteca di Ravenna. Nella scelta di una scenografia sontuosa e complessa e nel tracciato vivace e ricercato delle figure, dalle forme allungate, l’artista pare rispondere ad una precisa richiesta di un committente colto. E’ probabile si volesse illustrare un progetto matrimoniale contrastato o semplicemente un modello di virtù: quella di Ulisse che non cede alla tentazione davanti all’ultima prova a cui è sottoposto prima del suo definitivo ritorno in patria.

Nota: 1- Roberto Contini, Cecco Bravo Firenze 1601 – Innsbruck 1661. Pittore senza regola, catalogo della mostra Firenze, Casa Buonarroti, 23 Giugno - 30 Settembre 1999, pp. 88-89, N° 24, pp. 104-105, N° 32 e p. 34.