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Alessandro Magnasco (Genoa 1667 - 1749)

(Genova, 1667-1749)

Riunione di quaccheri

Olio su tela, cm 99 x 138

  • PROVENIENZA
  • BIBLIOGRAFIA
  • MOSTRE
  • DESCRIZIONE

PROVENIENZA


Genova, Sant’Ilario, collezione De Angeli Frua; Genova, collezione privata.
 

BIBLIOGRAFIA


-Fausta Franchini Guelfi, Magnasco inedito: contributo allo studio delle fonti e aggiunte al catalogo, in «Studi di Storia delle Arti», 1986, n. 5, pp. 298-299, nota 42 p. 313, fig. 112;
-Lauro Magnani, Cultura laica e scelte religiose: artisti, committenti e tematiche del sacro, in La pittura in Liguria. Il secondo Seicento, Genova, 1990, fig. 483, p. 397 e p. 398;
-A. Morandotti, Alessandro Magnasco, Riunione di Quaccheri, in supplemento al catalogo d’asta 858, Finarte, Milano, 13 Maggio 1993;
-A. Morandotti, in Alessandro Magnasco, 1667-1749, catalogo della mostra, Milano, Palazzo Reale, 21 Marzo- 7 Luglio, Milano, 1996, p.162;
-Véronique Damian, Massimo Stanzione, Guercino, Hendrick De Somer et Fra’ Galgario. Tableaux redécouverts du XVIe au XVIIIe siècle, Galerie Canesso, Paris, 2016, p. 44-49.
 

DESCRIZIONE


Opera di confronto:
-Riunione di quaccheri, 1712 ca., Richmond, Virginia Museum of Fine Arts (olio su tela, 96,5 x 136 cm, Adolph D. and Wilkins C. Williams Fund 60.33); versione più vicina alla nostra.

La nostra Riunione di Quaccheri è una delle rare versioni di un soggetto molto significativo nell’opera del Magnasco e unico nella pittura italiana contemporanea, che il pittore affronterà a partire dall’ultimo decennio del Seicento.
Fausta Franchini Guelfi ha individuato le fonti figurative di questa originalissima tematica1. Si tratta di un dipinto dell’olandese Egbert Van Heemskerk – che aveva ritratto dal vero le adunanze dei quaccheri inglesi – oggi a Londra all’Hampton Court Palace e delle relative stampe, più diffuse ed accessibili, realizzate da Jacob Gole, uno dei più prolifici divulgatori delle opere degli artisti fiamminghi.
Probabilmente l’interesse di Magnasco per il quaccherismo, movimento religioso di recente nascita in Inghilterra e di grande attrattiva nei paesi nordici, rispondeva a specifiche richieste di una committenza illuminata ed interessata ai contemporanei dibattiti sui culti e riti religiosi europei ed extraeuropei, che si nutriva di testi giunti clandestinamente in Italia dalla Francia e dai paesi protestanti. Di questa élite culturale facevano parte il barone Giorgio Guglielmo di Hohendorf, agente diplomatico del Principe Eugenio di Savoia e il Gran Principe Ferdinando de’ Medici, mecenate anche del nostro artista2. Non è escluso che Magnasco abbia avuto una conoscenza diretta di questo movimento religioso. In effetti, come lo dimostra Stefano Villani, delle missioni quacchere avevano avuto luogo nel 1657 a Livorno e nel 1672 a Milano, ovvero soltanto una ventina d’anni prima che Magnasco rappresenti questo soggetto alla fine del XVII secolo3. In Toscana, i quaccheri furono accolti dalla comunità ebraica che permise loro di predicare nelle sinagoghe. Lucia Frattarelli (comunicazione scritta) ci ha informati del fatto che le donne quacchere erano arrivate fino a Livorno e avevano predicato nella sinagoga di questa città. Forse Magnasco ha voluto qui evocare precisamente questo luogo di culto, considerando che il contesto architettonico del nostro dipinto è ambizioso e preciso, molto più monumentale di quello delle tele di Van Heemskerk.

Magnasco, come già Van Heemkerck, riuscì a cogliere la straordinaria portata anticonformista del soggetto, ponendo una predicatrice sul pulpito dato che, come ricorda Voltaire4, presso questa comunità alle donne era concesso lo stesso diritto di parlare. L’eliminazione delle discriminazioni di sesso, di età e delle gerarchie fra ministri religiosi e laici, così come l’usanza di riunirsi in qualsiasi luogo, essendo la chiesa l’assemblea dei fedeli, non lo spazio fisico, rendevano le usanze quacchere particolarmente interessanti, se paragonate ai tradizionali riti religiosi. Proprio per questo l’artista affiancò alle Riunioni di Quaccheri le Sinagoghe5, essendo anche il rito ebraico uno spunto per riflessioni stimolanti.

L’iconografia della Riunione dei Quaccheri rispetto alla prima versione nota, datata 16956 e più fedele all’opera dello Heemskerk, si è evoluta nel nostro dipinto verso una dilatazione e una fantasiosa complicazione spaziale. La botte rovesciata, che faceva da podio alla predicatrice, si è trasformata in un solenne piedistallo sormontato da un obelisco; l’umile interno di cucina è diventato un’aula semicircolare, quasi un’ambientazione teatrale. In uno studiato sistema di simmetrie e corrispondenze spaziali e cromatiche, il pittore ha inserito qualche nota di colore e il bagliore dei bianchi a ravvivare l’altrimenti sorda monocromia della scena. Dall’oscurità emergono, una ad una, le nodose figurine definite con una pennellata sfilacciata e rappresa sui volti, nelle mani e nei gesti enfatizzati.

Fausta Franchini Guelfi ha pubblicato per prima il nostro dipinto7, datandolo intorno al 1720 e lo considera una replica autografa dell’opera conservata presso il Virginia Art Museum di Richmond, che presenta la medesima composizione ed è datata 1712 ca.
Le Riunioni di quaccheri sono certo, fra le opere di Magnasco, quelle destinate al pubblico più ristretto e culturalmente selezionato, tanto che Carlo Giuseppe Ratti, nell’elenco delle iconografie da lui pubblicato nella vita dell’artista (1769), non le cita neppure; probabilmente questo soggetto gli risultava incomprensibile, non essendo un osservatore informato su tali tematiche. Queste iconografie originali e anticonformiste testimoniano indubbiamente della capacità di Magnasco a interpretare gli eventi contemporanei al centro del dibattito che darà la luce, alla metà del secolo, al pensiero illuminista.

Il nostro artista, di grande talento e molto prolifico, era figlio del pittore Stefano Magnasco (ca. 1635-1672). Dopo la morte del padre, lascia Genova per Milano dove sarà allievo nella bottega di Filippo Abbiati (1640-1715) intorno al 1677. Molto presto si orienta verso la pittura di figure e la sua produzione artistica si dividerà in due categorie: una come artista indipendente, e l’altra come pittore di figure in collaborazione con pittori di paesaggio, come Antonio Francesco Peruzzini (1646/47-1724), Crescenzio Onofri (c. 1630-1713/15), Marco Ricci (1676-1730), Nicola Van Houbraken e il francese Jean-Baptiste Feret, o con il pittore di rovine Clemente Spera (v. 1662-1742). Nel 1703 Magnasco è documentato a Firenze assieme a Peruzzini, dove creerà opere raffinate per il Gran Principe, come la Scena di caccia (oggi a Hartford, Wadsworth Atheneum). È senza dubbio a Firenze che ha l’occasione di studiare le incisioni di Jacques Callot (1592?-1635) che gli permetteranno di precisare il disegno delle sue figure, che sono a metà strada fra l’arte del genovese Valerio Castello (1624-1659) e le figure veneziane del suo amico Sebastiano Ricci (1659-1734), o più tardi di Francesco Guardi (1712-1792).
Nel 1708 è di ritorno a Genova dove si sposa, per poi tornare a Milano nel 1709 e fino al 1719 il suo nome appare regolarmente nell’Accademia degli artisti di questa città. Le committenze del governatore austriaco di Milano, Girolamo Colloredo-Mels, gli assicurano il successo e gli aprono le porte delle famiglie influenti milanesi: gli Archinto, i Casnedi, i Visconti, gli Angelini…
Gli ultimi anni genovesi, a partire dal suo ritorno definitivo nel 1733, saranno molto attivi come lo testimonia il suo biografo Ratti8.

Note:

1- Fausta Franchini Guelfi, Alessandro Magnasco, Genova, 1977, pp. 36-38.
2- Il barone di Hohendorf era avido raccoglitore di testi ed idee nuove da tutta Europa. Nella sua biblioteca erano presenti, fra gli altri testi, una Hisoire abregée du Kuakerisme (Colonia, 1694) e i sette volumi delle Céremonies et coutumes religieuses de tous les peuples du monde (Amsterdam 1723-37). Anche il Gran Principe Ferdinando De’ Medici era particolarmente interessato alle espressioni più anticonformiste della cultura contemporanea. Nella sua raccolta possedeva alcune opere dello Heemskerk.
3- Stefano Villani, I primi quaccheri e gli ebrei, “Archivio italiano per la storia della pietà”, X, 1997, p. 43-113.
4- Voltaire nelle Lettres écrites de Londres sur les Anglois (1734) riporta dettagliatamente usi e costumi quaccheri e cita in un passaggio: « nous ne pouvons pas savoir si un homme qui se lève pour parler sera inspiré par l’ésprit ou par la folie; dans le doute nous écoutons tout patiemment, nous permettons même aux femmes de parler…» cfr. Fausta Franchini Guelfi, op.cit., 1977, p. 37.
5- Si tratta della tela datata 1695, (cm 75 x 100), già a Milano in collezione Viganò, di cui una replica è conservata agli Uffizi; altre versioni più tarde sono le due già nella collezione veneziana di Italico Brass: una di cm 96 x 136 e una ampliata nelle misure (cm 118 x 175) e nella concezione, quest’ultima è stata esposta alla mostra milanese del 1996 (cfr. Bibliografia Cat. 29, p.162). L’ultima conosciuta è quella già nella collezione Mowinckel a Genova e prima in quella Steno Cecconi a Roma, poi Gallo Peio a Milano.
6- Si veda, ad esempio, la coppia conservata presso gli Uffizi (cfr. Delogu, 1931, Tavv. 115-116).
7- cfr. in Bibliografia, Franchini Guelfi, op.cit.,1986, pp. 298-299, nota 42 p. 313, fig. 112. in quella Steno Cecconi a Roma, poi Gallo Peio a Milano.
8- C.G. Ratti, Vite de’ pittori, scultori ed architetti genovesi, Genova, 1769.