Francesco Cairo (Milan 1607 - 1665)
(Milano, 1607-1665)
Il martirio di Sant’EufemiaOlio su tela, cm 192,5 x 223
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PROVENIENZA
Probabilmente si tratta del dipinto menzionato nell’inventario post mortem dell’artista: « Un Martirio di S. Eufemia entro a Leoni alto Br. 4. largo Br. 4. opra del Cavagl.e. » (n° 252 dell’inventario postumo del 29 Luglio 1665)1; Inghilterra, collezione privata.
BIBLIOGRAFIA
- Francesco Frangi, Francesco Cairo, Alessandro Tiarini e la strana storia delle ante di Sant’Eufemia a Milano, in “Nuovi Studi”, 2005, 11, pp. 249-263;
- Véronique Damian, Deux tableaux de la collection Sannesi. Tableaux des écoles émilienne et lombarde, Parigi, Galerie Canesso, 2006, pp. 50-55;
- Véronique Damian in, Dipinti del Seicento. Influssi caravaggeschi tra Lombardia e Napoli, Chiara Naldi (a cura di), catalogo della mostra Galleria Canesso Lugano, 26 Aprile- 15 Giugno 2013, pp. 40-47.
DESCRIZIONE
Il lungo inventario di dipinti appartenenti a Francesco Cairo – 294 voci – redatto il 29 Luglio 1665 al momento della sua morte, include al numero 252 un Martirio di Sant’Eufemia con i leoni 2. Tale menzione ha una duplice rilevanza: in primo luogo attesta che l’artista trattò questo tema, inoltre, ancor più significativamente, riporta dimensioni e formato simili alla nostra tela. L’opera citata appariva infatti quadrata e di grandi dimensioni; superiori, ma comunque molto simili al nostro dipinto: 4 x 4 braccia, ovvero approssimativamente 2,40 x 2,40 m, forse intendendosi compresa la cornice2. Questi due elementi portano a credere verosimilmente che l’opera citata in inventario possa essere identificata con il nostro dipinto, pubblicato nel 2005 da Francesco Frangi su Nuovi Studi (n. 11).
Il tema è trattato raramente in pittura. Illustra il martirio di Sant’Eufemia, descritto con dovizia di particolari nel racconto di Jacopo da Varazze nella Legenda Aurea. La vicenda si svolge al tempo di Diocleziano e dei primi martiri cristiani. Dopo diversi tentativi infruttuosi di eliminare Eufemia, che non voleva abdicare alla sua fede cristiana, la santa fu gettata “in una fossa in cui si trovavano tre belve ferocissime, che si sarebbero inghiottite qualsiasi uomo”. Contro ogni aspettativa queste non le fecero però alcun male. Fu quindi inviato un boia che “piantò la spada nel fianco di Eufemia e la fece martire di Cristo. Il giudice in cambio lo rivestì d’una veste di seta, ponendogli anche al collo una collana d’oro: non appena uscì fu aggredito da un leone che lo divorò quasi intero”3. Nel dipinto vediamo infatti l’aguzzino colto di spalle, con le braccia aperte e sollevate in segno di sorpresa per l’attacco improvviso. Dal fodero vuoto sul fianco destro dell’uomo e vedendo la spada conficcata nel fianco di Eufemia, non è difficile dedurre che l’atto crudele sia appena stato compiuto. Le storie dei martiri si prestano alla rappresentazione spettacolare; l’artista ha qui infatti largamente utilizzato l’effetto scenografico, concentrandosi sull’azione piuttosto che sul decoro. Lo sfondo scuro fa emergere in primo piano i due personaggi, che sono posizionati su diagonali opposte: verticale e orizzontale. Due elementi stravaganti dell’abito del carnefice - i bizzarri calzoni rossi corti e il panneggio beige svolazzante della giacca - potrebbero evocare la veste di seta donata dal magistrato, come riportato nella Legenda Aurea.
Da un recente studio di Francesco Frangi si evince che Cairo riprese qui una tela con il medesimo soggetto: il Martirio di Sant’Eufemia, oggi conservata nella prima cappella di sinistra della chiesa di San Paolo Converso a Milano, ma che, all’origine, decorava le ante dell’organo nella stessa chiesa. Il dipinto milanese ha sofferto molto: diviso in due parti, come esigeva questo specifico impiego, fu ritrovato più tardi tagliato in quattro pezzi. Dopo aver subito un indispensabile restauro tra il 1932 e il 1935, fu ricomposto ed è oggi visibile nella sua integrità, nonostante le condizioni di conservazione ne rendano difficoltosa la lettura.
Non riprendiamo in dettaglio in questa sede le complesse vicissitudini dell’opera milanese, lungamente sviluppate nell’argomentazione di Frangi, al cui articolo rinviamo in bibliografia, ma ci limitiamo a citarne lo sviluppo. E’ infatti ad una data abbastanza tarda, a partire dal 1674, che le guide locali iniziano a menzionare il dipinto come opera di Tiziano o Veronese e queste attribuzioni antiche furono ripetute con continuità fino all’inizio del XIX secolo. In seguito, giustamente, non vennero più prese in considerazione4. I contributi recenti hanno tuttavia evidenziato nel dipinto di San Paolo Converso delle reali consonanze stilistiche con l’arte veneta e c’è un generale consenso nel proporne la datazione nella seconda metà del Cinquecento5 . Frangi vi legge una cultura che fa da ponte fra il Veneto e la Lombardia e propone, con prudenza, il nome di un artista originario di Crema: Giovanni da Monte (1525/1530-1585/1590), presente molto giovane a Venezia e con ogni probabilità allievo di Tiziano. L’opera conserva ancor’oggi immutato il suo mistero e, in assenza di documenti d’archivio che vengano a precisarne committenza e funzione, la sua attribuzione può basarsi solo su delle ipotesi.
Cairo fu grande ammiratore del pittore di Cadore: lo collezionò e lo copiò a più riprese. Credette quindi egli a questa attribuzione prestigiosa o al contrario replicò il dipinto basandosi su una reale conoscenza dell’autore?6 Siamo costretti ad ammettere che ci sfugge la vera ragione per la quale Cairo eseguì quest’opera. Se fosse stato su commissione, parrebbe strano il ritrovamento nella casa del pittore al momento della morte nel 1665. Saremmo quindi tentati a credere che lo fece per se stesso avendo, come ultimo scopo, quello dello studio. Senza alcun dubbio l’impatto visivo delle ante dell’organo non lo lasciò insensibile e provò il bisogno di dare la propria interpretazione della tensione drammatica contenuta nella descrizione del racconto.
In ogni caso l’opera non presenta varianti significative nella composizione. Numerosi dettagli, invece, differiscono: soprattutto per l’uso di una tecnica pittorica molto più fluida, caratteristica di colui che fu soprannominato da Carlo Torre il “Tiziano lombardo”. Al carattere compatto della forma, in particolare nella figura della Santa, Cairo apporta una forte componente emotiva, utilizzando accordi tonali più sordi. Il blu, il bruno, il rosso e soprattutto il bianco della camicia del boia sono lavorati, in maniera più audace, attraverso una pennellata energica, stesa a larghi tocchi corposi. Queste sono le caratteristiche che ci suggeriscono una datazione tarda nella sua carriera, nel periodo della maturità avanzata, verso la fine degli anni cinquanta e l’inizio degli anni sessanta del Seicento. Frangi sottolinea anche i punti di contatto del nostro dipinto con le toccanti atmosfere tinte di malinconia delle opere tarde dell’artista, quali l’Apparizione della Madonna col Bambino a Sant’Antonio di Padova (Piacenza, Santa Teresa), o L’Addio di San Giovanni Battista ai suoi genitori (Aicurzio, Sant’Andrea)7. E’ interessante notare che l’artista riutilizzerà la figura maschile del boia di spalle entrante in scena nel Martirio di Santo Stefano (Milano, Chiesa di Santo Stefano)8.
Con tutta evidenza il tono retorico della scena piacque all’artista, che, per meglio svilupparlo, ingrandì la sua composizione di trentacinque centimetri in lunghezza rispetto al dipinto di San Paolo Converso il quale, invece, misura 180 x 188 cm. Abbiamo quindi davanti ai nostri occhi un’immagine che, con grande efficacia, fonde soprannaturale, orrifico e meraviglioso in una visione dilatata e spettacolare.
Note:
1 -Il braccio equivale a 0,60 m, quindi corrisponderebbe ad un dipinto di 2,40 x 2,40 m. Cfr. Francesco Frangi, Francesco Cairo, Milano, 1998, doc. 18, p. 341, n° 252.
2- Il dipinto, che passava per un’opera di Francesco Maffei (1605 ca.- 1665) è stato attribuito a Cairo da Francesco Frangi quando lo vide in corso di restauro. Lo ringraziamo per averci segnalato la menzione dell’inventario post mortem dell’artista. Un ringraziamento speciale a Ottorino Nonfarmale per il restauro del dipinto in Italia.
3 - Iacopo da Varazze, Legenda Aurea, Torino, Einaudi Editore, 1995, CXXXIX Sant’Eufemia, pp. 767-769.
4 - Carlo Torre, Il ritratto di Milano, 1674, ed. 1714, p. 62 ; ma già menzionato nel 1671 in A. Santagostino, L’Immortalità e la gloria del pennello. Catalogo delle pitture insigni che stanno esposte al publico nella città di Milano, 1671, Marco Bona Castellotti (ed. a cura di), Milano, 1980, p. 335, n° 372. 5 - M. Bona Castellotti, op. cit., 1980, p. 335, n° 372; Maria Teresa Fiorio, Sant’Eufemia, in Le chiese di Milano, Milano, 1984, p. 252; Alessandro Morandotti, San Paolo Converso in Milano, Milano, s.d. [1984], pp. 46-47.
6 - Francesco Frangi (op.cit., pp. 127-129) rileva la predilezione che aveva l’artista per i maestri veneziani del XVI secolo, testimoniata anche dall’inventario dei suoi dipinti stilato al momento della sua morte, avvenuta nel 1665. Tale documento è ancora più appassionante perché attesta di fatto che Cairo non si accontentava di copiare Tiziano o Veronese, ma che era lui stesso in possesso di dipinti del Cinquecento veneziano e, in particolare, di diversi dipinti di Tiziano.
7 - F. Frangi, Ibid., nota 1, n° 90 e 100, pp. 277, 285. 8 - F. Frangi, Ibid., nota 1, no 121, p. 289.