Bartolomeo Castelli il Giovane detto Spadino (Roma, 1696 - 1738)
(Roma, 1696 – 1738)
Natura morta con frutta e roseOlio su tela, 69 x 94 cm.
- PROVENIENZA
- BIBLIOGRAFIA
- MOSTRE
- DESCRIZIONE
BIBLIOGRAFIA
V. Damian, Catalogo Biennale des Antiquaires, (catalogo della mostra, Parigi, Grand-Palais, 2008), pp. 54-57.
DESCRIZIONE
Le ricerche d’archivio di Geneviève Michel hanno rivelato l’esistenza di tre pittori, tutti membri della stessa famiglia romana: i Castelli, specializzati nel genere della natura morta. Due erano fratelli: Bartolomeo (detto anche il Vecchio) e Giovanni Paolo (detto Spadino). Quest’ultimo ebbe un figlio: Bartolomeo, detto il Giovane per differenziarlo dallo zio e anch’egli conosciuto come Spadino1. Tale appellativo derivava dal piccolo pugnale che il padre, Giovanni Paolo, inserì talvolta nelle sue composizioni; si firmò poi Spadino sui cartigli che compaiono nei dipinti della Pinacoteca Capitolina di Roma e della Collezione Nigro di Genova. Anche il figlio Bartolomeo appose questo pseudonimo diverse volte sul retro delle sue tele. Giovanni Paolo e il figlio Bartolomeo lavorarono entrambi fino al quarto decennio del Settecento, distinguendosi però per stile e scelte compositive. La pittura del figlio, meno sciolta e barocca rispetto a quella del padre, privilegia una costruzione più controllata e bilanciata, che utilizza tinte vive ma non violente.
Per prossimità stilistica, il nostro dipinto appare chiaramente ascrivibile al complesso ambito della famiglia Castelli e, più specificamente, proprio a quello del più giovane dei tre artisti, Bartolomeo, il cui corpus è stato recentemente definito da Gianluca e Ulisse Bocchi2. Tra le opere riprodotte dai due autori, il confronto più convincente è fra il nostro dipinto e quello conservato al Musée Granet d’Aix-en-Provence. Entrambi, infatti, contengono il medesimo repertorio dai colori vivaci e lucenti. Al suolo, o su un basamento di pietra tagliata grossolanamente, sono mescolati frutti succosi e steli di rose irti di spine che fuoriescono da un cesto di vimini ricolmo. Un elemento tipico della pittura di Bartolomeo è quello dell’utilizzo di colori opposti su uno stesso frutto: i verdi o i viola accostati ai rossi e ovunque piccoli tocchi di bianco che fanno scintillare la materia.
Sullo sfondo percepiamo solo qualche scorcio di cielo plumbeo, mentre i pampini d’uva chiudono la composizione su questa opulenta esposizione di frutti offerta al nostro sguardo in primo piano.
Come è stato giustamente evidenziato dai Bocchi, le composizioni di questo artista, più arcaicizzanti, non traggono ispirazione dalle composizioni esuberanti di Abraham Brueghel (1631-1697) e di Christian Berentz (1658-1722), artisti che avevano invece influenzato largamente il padre. Bartolomeo prende piuttosto spunto dalle composizioni più sobrie di Michelangelo Pace, detto Michelangelo del Campidoglio (1625-1669) e da quelle dello zio, aggiungendo però una certa esasperazione della forma, che si traduce in particolare nell’intrico di steli e foglie, già secche o raggrinzite, dai contorni accartocciati e minuziosamente illuminati.
L’occhio dell’artista si concentra sul motivo rappresentato per tradurne la densità materica e non si lascia distrarre da alcun tentativo di contestualizzare la scena, né in un paesaggio più ampio, né tramite l’aggiunta di vasi o coppe di cristallo.
Note:
1- Notes biographiques sur Giovanni Spadino, in “Colloqui del Sodalizio”, s. 11, Roma, 1978-80, pp. 19-34.
2- G. Bocchi - U. Bocchi, Pittori di natura morta a Roma. Artisti italiani 1630-1750, Viadana 2005, pp. 577-659, 656, fig. BSJ.53.