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Denys Calvaert (Antwerp c. 1540 - Bologna 1619)

(Anversa?, 1540 ca - Bologna, 1619)

Cleopatra

Olio su tavola, 145 x 109 cm. Due sigilli in cera sul retro e nella parte bassa della tavola.

  • PROVENIENZA
  • BIBLIOGRAFIA
  • MOSTRE
  • DESCRIZIONE

PROVENIENZA


Asta Audap-Godeau-Solanet, Drouot, Parigi, 4 Dicembre 1986, n° 7 (come Scuola di Fontainebleau); New York, collezione privata.

BIBLIOGRAFIA


- Daniele Benati, Lorenzo Sabbatini: quadri "con donne nude’', in Scritti di storia dell’arte in onore di Jürgen Winkelmann, Napoli, 1999, pp. 55, 57 nota 22, fig. 6;
- Angelo Mazza, La galleria dei dipinti antichi della Cassa di Risparmio di Cesena, Milano, 2001, n° 24, pp. 146,148, nota 11;
- Véronique Damian, Reni, Vermiglio et Cairo, trois figures caravagesques, Parigi, Galerie Canesso, 2012, pp.12-17.
- Kleopatra. Die ewige Diva, Elisabeth Bronfen e Agnieszka Lulinska (a cura di), catalogo della mostra Kunst- und Ausstellungshalle der Bundesrepublik Deutschland, Bonn, 28 giugno - 6 ottobre 2013, n. 30, p. 323, ill. p. 174;
- Véronique Damian, Cinquecento sacro e profano. Una selezione di dipinti italiani del XVI secolo, Chiara Naldi (a cura di), Lugano, Galleria Canesso, 2013, pp. 44-48.

MOSTRE


- Kleopatra, catalogo della mostra, Bonn, Kunst- und Ausstellungshalle der Bundesrepublik Deutschland, 26 giugno – 6 ottobre 2013, p. 323, n. et fig. 30 ;
- Le mythe de Cléopâtre, catalogo della mostra, Parigi, Pinacothèque de Paris, 10 aprile – 7 settembre 2014, n. 212.

DESCRIZIONE


Il nostro dipinto, raffigurante Cleopatra nell’atto di togliersi la vita, è stato pubblicato da Daniele Benati nel 1999 insieme ad un’altra versione autografa, segnalata dall’autore sul mercato milanese e oggi appartenente alla collezione della Pinacoteca della Fondazione della Cassa di Risparmio di Cesena1. Quest’ultima opera, sempre su tavola, presenta un certo numero di varianti, in particolare nei colori dei panneggi e, in generale, nel senso del decoro; anche i gioielli differiscono nelle due redazioni2. Ambo i dipinti sono nuove acquisizioni per il catalogo di Denys Calvaert, pittore originario di Anversa che, durante il viaggio in Italia, fece di Bologna il suo luogo di elezione e lì si affermò nella professione artistica. Nel campo della pittura di genere, intrattenne un rapporto duraturo con il suo secondo maestro: Lorenzo Sabatini (ca. 1530-1576). Benati, nel suo articolo, insiste proprio sulla continuità fra i due artisti, dato che i soggetti profani di Calvaert sono indubbiamente il risultato di una matura riflessione sui corpi nudi delle eroine dipinte dal maestro. Ma non sapremmo immaginare l’impatto di questo corpo potente e dinamico senza lo studio delle opere di Michelangelo. La dinamica posa “serpentinata”, tipica del bell’equilibrio manierista, dona alla figura uno slancio, che immaginiamo provocato dal dolore inferto dal morso dell’aspide. Eppure la forza di questa figura emana anche dall’ampio formato scelto: le grandi dimensioni della tavola permettono all’artista di sviluppare la composizione con il corpo di Cleopatra quasi a grandezza naturale. L’artista ha saputo donarle altresì grazia, attraverso il movimento della testa e degli occhi rivolti verso l’alto – dettaglio largamente impiegato in seguito dal suo allievo Guido Reni – accorgimento che ebbe occasione di osservare e prendere in prestito dal Raffaello “romano”, in particolare dalla bella figura di Galatea nella Farnesina. Cleopatra, morsa al seno da un aspide, appare svestita, coperta solo parzialmente da un pesante drappo rosso e pare essere un’eroina tragica sulla scena teatrale. L’evento storico del suicidio della regina d’Egitto è da situare intorno all’anno 30 a.C. ad Alessandria, all’arrivo di Ottavio trionfante. Marco Antonio si è appena suicidato e Cleopatra, convocata dal vincitore romano, chiede di ritirarsi privatamente con le sue due più fedeli ancelle: Ira e Carmiana. A quel punto, a sua volta, si dà la morte. Pare si sia fatta portare un cesto di fichi, nel quale erano nascosti due aspidi. L’aspetto tragico della sua morte, amplificato da un forte immaginario, non poteva che rafforzare la tendenza a romanzare la fine di questa grande sovrana. Nello sfondo della composizione, le due ancelle appaiono indossando le maschere della tragedia sul loro volto; i gesti scomposti e i panneggi svolazzanti sono i segni del loro precipitarsi. Le fughe prospettiche convergono, del resto, proprio verso queste due figure femminili. Il lussuoso interno si riduce essenzialmente alla descrizione del letto opulento, cinto da frange dorate e sovraccarico di festoni, che si addice allo statuto di regina d’Egitto, ma senza dubbio era in perfetta sintonia con gli interni dei collezionisti privati a cui era destinato questo tipo di arte.
Sia Daniele Benati, che Angelo Mazza, sottolineano il rapporto che lega la nostra Cleopatra con la Lucrezia del Museo di Digione3. Questa risponde, infatti, ai medesimi criteri di presentazione dell’eroina in posa scultorea, che solleva con ostentazione un pugnale prima di infliggersi il colpo fatale. Situata in una sorta di alcova architettonica, intravvediamo da un’apertura due serve che accorrono. Tale similitudine compositiva dovrebbe consentire di accostare i dipinti anche da un punto di vista cronologico. Al volgere del secolo, l’artista accorderà un ruolo sempre maggiore all’impaginazione della scena, riducendo la dimensione dei personaggi; ci sembra quindi di essere ancora, nel caso del nostro dipinto, intorno agli anni 1580-90.
Il percorso artistico di Calvaert, giunto in Italia ancora giovane a completare la sua formazione, mostra che il pittore rimase fedele tutta la vita al manierismo del XVI secolo, attribuendo sempre il ruolo primario al disegno. Fu più sensibile all’arte di Correggio (1489 ?-1534) che a quella dei Carracci. Partito dalle sue Fiandre natali alla volta di Roma, si fermò a Bologna, dove frequentò la bottega di Prospero Fontana (1512-1597), poi quella di Lorenzo Sabatini, con il quale collaborò, in particolare nella Sacra Famiglia con l’Arcangelo Michele (Bologna, San Giacomo Maggiore) e nell’Assunzione (Bologna, Pinacoteca Nazionale). La vigilanza (1568, Bologna, Pinacoteca Nazionale) è il primo dipinto firmato dell’artista. Nel 1572 partì per Roma con Sabatini per lavorare, sotto la sua direzione, agli affreschi della sala Regia in Vaticano. Lì si trovò a contatto con i grandi maestri del Rinascimento che copiò: da Michelangelo, a Raffaello, a Sebastiano del Piombo; fu insomma una vera formazione italiana nella sua tradizione più pura. Tale formazione gli consentì, al suo ritorno a Bologna, intorno al 1575, di aprire una scuola molto frequentata, in particolare dai futuri protagonisti dell’arte bolognese: Guido Reni (1575-1642), Domenichino (1581-1641), l’Albani (1578-1660), prima che questi passassero in quella più innovativa dei Carracci.

Note:
1- Daniele Benati ha riprodotto la nostra versione che riconosce essere la più bella delle due.
2- Angelo Mazza, La galleria dei dipinti antichi della Cassa di Risparmio di Cesena, Milano, 2001, pp. 142-148, n° 24. Il dipinto è stato acquistato nel 1993 dalla Fondazione Cassa di Riparmio di Cesena e misura 144 x 103 cm, quindi di dimensioni simili al nostro. Angelo Mazza (nota 11) segnala ancora l’esistenza di una versione ridotta di questa composizione, passata sul mercato d’arte italiano nel 1998.
3- Arnauld Brejon de Lavergnée, Dijon, musée Magnin. Catalogue des tableaux et dessins italiens XVe-XIXe siècles, Paris, 1990, p. 121, n. 116 ("anonyme-école bolonaise, fin XVIe siècle, bois, 145 × 110 cm"). Il quadro è stato riattribuito a Calvaert da Benati (op. cit. nella Bibliografia, 1999, p. 57, nota 22).