Antonio Mancini (Rome 1852 - 1930)
(Roma ,1852-1930)
Autoritratto della follia / Autoritratto giovanile , 1882Olio e bitume su carta da spolvero intelata 640 x 485 mm. ca. Firmato, iscritto e datato verso il basso a destra: Ant. Mancini un epilettico 1882
- PROVENIENZA
- BIBLIOGRAFIA
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PROVENIENZA
Raccolta Portolano, Napoli.
BIBLIOGRAFIA
- M. Sciuti, La malattia mentale di Antonio Mancini, in “L’Ospedale Psichiatrico”, estratto del fasc. III, Napoli 1947, pp. 47, 53, fig. 22;
- AA. VV. (a cura di), Ottocento. Catalogo dell’Arte Italiana dell’Ottocento, n. 30, Milano 2001, p. 280 (ill.);
- C. Virno, M. Carrera (a cura di), Gemito, Mancini e il loro ambiente. Opere giovanili, catalogo della mostra (Roma, Giacometti Old Master Paintings, 19 maggio-16 giugno 2017), Roma 2017, p. 47 e n. 28, pp. 132-133.
L’opera è inserita nel Catalogo Ragionato dei dipinti di Antonio Mancini di prossima pubblicazione, a cura di C. Virno, De Luca Editori d’Arte, Roma.
DESCRIZIONE
Mancini ritrae sé stesso, con grande assiduità, per tutta la vita, dai primi studi realizzati intorno ai quattordici anni fino al 1929, ad un anno dalla morte.
Quest’ opera fa parte di quel gruppo di importanti autoritratti giovanili realizzati durante il cosiddetto “periodo della follia” che inizia dopo il rientro dal suo secondo soggiorno a Parigi - alla fine del 1878 - ed arriva al 1883 anno in cui il pittore si trasferisce a Roma da Napoli. Questo momento comprende, ovviamente la breve fase del suo ricovero nel manicomio provinciale di Napoli, dall’ottobre 1881 al febbraio 1882. Realizzato con ampie e decise pennellate, lasciando volutamente incompleta la zona in basso a destra, quello in esame è uno degli autoritratti che maggiormente denotano il disagio mentale del pittore, soprattutto per lo sguardo allucinato e il sorriso innaturale e beffardo. La figura emerge sul fondo neutro della carta da spolvero. Il volto è accuratamente descritto, i capelli ben pettinati mentre l’abito – da cui fuoriesce il colletto bianco – è segnato da pochi, vigorosi tratti. La volontà di conferirsi un aspetto insano è sottolineata dalla scritta autografa in cui Mancini definisce sé stesso come: “un epilettico”.
Nel periodo del ricovero al pittore non viene negato di dipingere. Realizza infatti numerosi ritratti di infermieri e inservienti e moltissimi autoritratti. L’opera in questione, realizzata in manicomio e datata “1882” è stata quindi dipinta entro il mese di febbraio.
Nel 1947 Michele Sciuti - allora direttore dell’ospedale psichiatrico di Napoli - dedicherà un testo piuttosto completo alla fase più acuta della follia manciniana, documentando quasi tutti i ritratti e gli autoritratti che il pittore realizza durante il ricovero e nel periodo immediatamente successivo. Opere, purtroppo, oggi in buona parte disperse.
Quello in esame, oltre a rappresentare un raro esempio di questa tipologia di autoritratto, è anche da annoverare tra i più significativi per il riferimento molto esplicito alla follia del personaggio evidenziata dall’espressione. Come questo, la maggior parte degli autoritratti di quel periodo che ci sono pervenuti, è realizzato su carta e quasi a monocromo. Qui prevale una tinta bruna appena illuminata da qualche tratto di bianco, in altri casi troviamo un olio color sanguigna come nell’ Autoritratto conservato al Museo di Capodimonte a Napoli o in quello presso il Museo della Scienza e della Tecnica a Milano.
L’opera ha fatto parte della collezione Portolano nota per essere stata una delle più importanti raccolte napoletane di arte ottocentesca.
Cinzia Virno