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Giovanni Peruzzini (Ancona 1629 - 1694 Milan)

(Ancona, 1629 - Milano, 1694)

La morte di Catone

Olio su tela, 134 x 97.5 cm Iscrizione sul libro « CVIVS AB ALLO/QVIIS ANIMA/HEC M…/REVIX… »

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  • BIBLIOGRAFIA
  • MOSTRE
  • DESCRIZIONE

Fig. 1

Fig. 2

Fig. 3

PROVENIENZA


Inghilterra, collezione privata; 2015, Francia, collezione privata.
 

BIBLIOGRAFIA


Inedito
 

DESCRIZIONE


Opera di confronto:
Montargis, Musée Girodet, inventario n. 947.16: Giovanni Peruzzini, San Girolamo, firmato e datato 1665 nel libro.

Le pennellate energiche e la ricca materia pittorica, particolarmente generosa nei toni chiari, ci danno un esempio del vigoroso stile di Giovanni Peruzzini, pittore appartenente a una famiglia di artisti marchigiani.
La sua tecnica pittorica, caratterizzata dai chiaroscuri intensi, riporta l’attenzione, negli anni Sessanta e Settanta del XVII secolo, verso uno stile “forte” e Peruzzini non sarà l’unico artista a riproporlo in questo periodo avanzato.
Le macchie di sangue discrete, dipinte sui drappeggi e sul libro aperto e che miracolosamente risparmiano il corpo, ci invitano a identificare il soggetto con La morte di Catone (95-46 a.C.).
Questo pronipote di Catone il Sapiente fu senatore, stoico e difensore della Repubblica. Si suicidò a Utica (città situata nella costa nord dell’attuale Tunisia) dopo la sconfitta di Thapsus, la battaglia che portò al trionfo delle forze di Giulio Cesare (100-44 a.C.) e di cui Catone fu forte oppositore.
È un esempio antico di nobile morte, quella del vinto che, non volendosi sottomettere al vincitore, sceglie di togliersi la vita. La morte avvenne dopo che Catone ebbe meditato sull’Anima, come lascia intendere l’iscrizione posta sul libro. La storiografia ci racconta che, la notte prima di morire, Catone aveva letto il Fedro di Platone: un’opera che evoca l’attitudine da avere davanti alla morte, i legami fra l’anima e il corpo, e che parla dell’immortalità dell’anima e il suo destino dopo la morte. La citazione utilizzata dal pittore nel nostro dipinto non è però di Platone ma è tratta dai Tristia di Ovidio (43 a.C.-17 d.C.), dei lunghi poemi che l’autore latino scrisse mentre, per volontà di Augusto, si trovava esiliato a Tomis (ora Costanza sulle coste del Mar Nero in Romania).  In essi il poeta racconta, indirizzandosi ad un amico, la sua disgrazia “(…) oh tu! Che tra tanti compagni amati, preferisco a tutti, tu di cui il cuore è il mio unico rifugio nella disperazione, e la cui parola ha rinvigorito la mia anima prima di spegnersi (…)”  (Cuius ab alloquiis anima haec moribunda revixit). Questi testi sono stati scritti fra il 9 e il 12 d. C. e quindi Catone non ha potuto conoscerli ma, in essi, la meditazione sulla morte è ben presente.
Catone, seduto, con la testa appoggiata sul suo braccio e avvolto in drappeggi voluminosi, aspetta il trapasso in un’attitudine vicina al sonno. Nello spazio dello sfondo, scuro e astratto, si delinea, in alto sulla destra, il fusto di una colonna.

Senza il San Girolamo firmato e datato del Musée Girodet di Montargis (fig. 1), che riprende punto per punto la nostra figura, sarebbe stato difficile identificare la mano di quest’artista marchigiano, il cui percorso artistico va ancora approfondito1. Segnaliamo ancora, tra l’una e l’altra tela, lo stesso utilizzo dei panneggi dalle pieghe spezzate, le tonalità simili e, infine, il libro aperto sul quale il protagonista poggia il gomito. Il Santo del Musée Girodet non è caratterizzato da nessun attributo se non dal libro che potrebbe evocare la sua traduzione della Bibbia in latino. Questo dipinto, datato 1665 e firmato «Ioannes/Peruzzinus/pingebat», ci da un punto fermo nel suo complesso percorso artistico caratterizzato da innumerevoli spostamenti in tutta la Penisola.

Come il padre Domenico e i suoi fratelli Paolo e Antonio Francesco – noto collaboratore di Magnasco –, Giovanni Peruzzini iniziò la sua carriera nelle Marche. Negli anni Sessanta del XVII secolo si formò probabilmente nella bottega paterna per poi spostarsi fra Ancona, Pesaro, Modena e Roma. A Pesaro collaborò agli affreschi del soffitto della chiesa di San Filippo Neri per i quali, una ricevuta del 2 maggio 1662, ne attesta il pagamento. Il primo periodo della sua carriera fu influenzato da Simone Cantarini (1612-1648). Fra il 1662 e il 1663 partecipò alla decorazione della chiesa di Sant’Agostino di Modena commissionata degli Este. Nel 1664 soggiornò ad Ancona in compagnia del padre dove affrescò le lunette del chiostro – oggi distrutto – del Convento di San Francesco ad Alto e, nel 1666, si trovò nuovamente a Roma. Fu attivo nella Città Eterna fino al 1675 dove godette dell’appoggio di personalità come il Cardinale Decio Azzolino. Questi gli commissionò nel 1673 un dipinto per l’altare maggiore della chiesa del San Salvatore in Lauro. A Roma il suo stile fu influenzato dai seguaci di Pietro da Cortona (1596-1669) e in particolare da Maratta (1625-1713). A partire dal 1672 entrò in contatto con la corte dei Savoia e iniziò a inviare da Roma un certo numero di opere. Si trasferì poi lui stesso in Piemonte lavorando al servizio di Guglielmo Francesco e Carlo Giuseppe Carron di San Tommaso, Segretari di Stato di Carlo Emanuele II, e lì restò fino al 1677. La sua produzione in Piemonte, in particolare delle grandi pale d’altare, è molto diffusa e resta da rintracciare e catalogare in modo sistematico2. In questo stato fu accolto come un pittore moderno sulla scia di Maratta. Dopo il Piemonte, si trasferì a Bologna, forse con suo fratello Antonio Francesco e numerose opere dei due fratelli sono citate negli inventari bolognesi3. Nell’ultimo periodo della sua vita lavorò a Milano dove probabilmente risiedeva.

Note:
1 – R. Ragnetti, Peruzzini, in “Dizionario Biografico degli italiani”, 82 (2015), che riassume nella sua tesi di laurea, Una famiglia di artisti marchigiani, Urbino, Università degli Studi Carlo Bo, a.a. 2011-2012.

2 – Vedi M. Di Macco – G. Romano (a cura di), Diana trionfatrice. Arte di corte nel Piemonte del Seicento, (catalogo della mostra, Torino, 27 maggio – 24 settembre 1989, p. 206-207, n. 233 (con la bibliografia precedente); A. Cifani – F. Monetti, Buttigliera Alta. Tesori d’arte e di storia, Torino 2014, pp. 32, 37, 38-39.

3 – R. Morselli, Collezioni e quadrerie nella Bologna del Seicento. Inventari 1640-1707, The Provenance index of the Getty Information Institute, Ann Arbor 1998, pp. 478-479.