Alessandro Magnasco (1667 - Gênes 1749)
(Genova, 1667-1749)
Giona e la BalenaOlio su tela, 173 x 229 cm
- PROVENIENZA
- BIBLIOGRAFIA
- MOSTRE
- DESCRIZIONE
PROVENIENZA
Venezia, collezione Italico Brass (1870-1943); per via ereditaria agli attuali proprietari.
BIBLIOGRAFIA
- M. Pospisil, Alessandro Magnasco, Firenze, 1944, p. LXXXVI, figg. 190-191;
- B. Geiger, Magnasco, Bergamo, 1949, p. 145, fig. 489;
- L. Muti, D. De Sarno Prignano, Alessandro Magnasco, Faenza, 1994, p. 260, n. 349, fig. 339;
- F. Franchini Guelfi, Due «Tempeste» di Alessandro Magnasco, in Arte all’incanto. Mercato e prezzi dell’arte e dell’antiquariato alle aste Finarte 1993/94, Milano, 1994, p. 53.
DESCRIZIONE
L'identificazione del tema di questa "Tempesta" è facilitata dalla presenza pittoresca della balena - metà mostro e metà pesce - che getta Giona sulla riva in mezzo ai resti di una barca che si è infranta sugli scogli. La prua dell'imbarcazione è ancora visibile dietro al promontorio roccioso a cui sono aggrappati due marinai. Dipinta con tocchi rapidi e enfatizzata dal lungo drappo bruno mosso dal vento, Giona è una figura nodosa e nervosa, tutta movimento. Questa composizione esprime magnificamente un tratto tipico di Magnasco: la potenza espressiva di piccole sagome umane immerse in una natura immensa che afferma su di loro la sua onnipotenza. Anche i dati naturalistici hanno una grande forza espressiva e lo spettatore è coinvolto dalla violenza, eroica e drammatica, del mare burrascoso e scosso dai venti.
Nel 1949 Benno Geiger pubblicò questo dipinto insieme al suo pendant, Sant'Agostino e il Bambino, due ambiziosi soggetti marini, allora entrambi parte della stessa collezione veneziana1.
Giona e la Balena, imponente nelle sue dimensioni, è datato da Fausta Franchini Guelfi tra il 1720 e il 1725, e poco più tardi, tra il 1727-1728, da Laura Muti e Daniele De Sarno Prignano2. I tre autori notano che i paesaggi marini sono molto simili nell'esecuzione ad altri due dipinti (già nella collezione Barnabò a Venezia) giudicati dalla Franchini Guelfi di mano del Magnasco, tanto nei paesaggi quanto nelle figure3.
Tra il 1720 e il 1725 Magnasco lavora a Milano, prima di tornare nella natia Genova dopo il 1732. Nello stesso periodo deve fare a meno di uno dei suoi principali collaboratori, il paesaggista Antonio Francesco Peruzzini (1643/1646-1724) e, da quel momento in avanti, Magnasco inizia spesso ad occuparsi anche del paesaggio. Fausta Franchini Guelfi non riconosce nella parte paesaggistica del Giona né la mano di Peruzzini né quella di Carlo Antonio Tavella (1668-1738), artista quest'ultimo suggerito da Pospisil in un articolo del 1944. Inoltre negli anni Venti del secolo, al tempo dell’esecuzione del nostro dipinto, Tavella aveva da tempo lasciato Milano, essendosi trasferito stabilmente a Genova già nel 1701. A Milano aveva frequentato lo studio di Pieter Mulier, detto il Tempesta (1637-1701), noto per le sue composizioni di mari burrascosi, da cui il soprannome, e rimasto in città anch’egli fino al 1701. Se, come sostenuto da Anna Orlando4, Magnasco stesso è da ritenersi l’autore del paesaggio in questo dipinto, è di certo ben riscontrabile l’influenza su di lui dell'ambiente milanese, in particolare di origine fiamminga, come il Tempesta.
Alessandro Magnasco fu riscoperto all'inizio del XX secolo, negli anni 1911-1930, grazie agli studi di Benno Geiger che gli dedicò anche una prima serie di mostre nel 1914, alla vigilia della prima guerra mondiale, e pubblicò un primo catalogo (contenente solo 70 opere). Nei decenni successivi il catalogo si arricchisce rapidamente di numerose aggiunte, fino alla pubblicazione della sua gigantesca e documentata monografia nel 1949.
Alessandro, artista estremamente talentuoso e prolifico, era figlio del pittore Stefano Magnasco (ca. 1635-1672). Dopo la morte del padre, lasciò Genova per Milano dove entrò come allievo nello studio di Filippo Abbiati (1640-1715) intorno al 1677. Lavorò sia come artista indipendente che come pittore di figure in collaborazione con paesaggisti come Antonio Francesco Peruzzini (1646/47-1724), Crescenzio Onofri (ca. 1630-1713/15), Marco Ricci (1676-1730), Nicola Van Houbraken e a Firenze con il poco noto paesaggista francese Jean-Baptiste Feret (1664?-1739) o con il pittore di rovine Clemente Spera (1661-1742 circa). Nel 1703 è documentato a Firenze con Peruzzini e per il Gran Principe realizzò dipinti raffinati come la Scena di caccia (ora Hartford, Wadsworth Atheneum). Fu certamente a Firenze che ebbe modo di studiare le incisioni di Jacques Callot (1592? - 1635), affinando la grafica delle sue figure influenzate anche dal genovese Valerio Castello (1624-1659) e dall'amico veneziano Sebastiano Ricci (1659-1734), o più tardi da Francesco Guardi (1712-1792). Nel 1708 tornò a Genova dove si sposò e per tutta la vita mantenne forti legami con la città natale e la famiglia. Tornato a Milano nel 1709, fino al 1719 il suo nome compare regolarmente nell'Accademia dei pittori di quella città. L'incarico conferitogli dal governatore austriaco di Milano, Girolamo Colloredo Mels-Waldsee, gli assicurò il successo anche presso le grandi famiglie milanesi come gli Archinto, Casnedi, Visconti, Angelini. Gli ultimi anni genovesi furono molto attivi, come raccontato dal suo biografo C. G. Ratti e testimoniato dalle numerose opere sopravvissute tra cui Trattenimento in un giardino di Albaro (Genova, Musei di Strada Nuova - Palazzo Bianco), che può essere considerato il suo testamento artistico.
Note:
1- B. Geiger, Alessandro Magnasco, Bergamo, 1949, p. 145, fig. 490.
2- L. Muti, D. De Sarno Prignano, Alessandro Magnasco, Faenza, 1994, p. 260, n. 349, fig. 339; F. Franchini Guelfi, comunicazione scritta.
3- L. Muti, D. De Sarno Prignano, Alessandro Magnasco, Faenza, 1994, p. 239, n. 231 et 232, figg. 409-410; F. Franchini Guelfi, Due «Tempeste» di Alessandro Magnasco, in Arte all’incanto. Mercato e prezzi dell’arte e dell’antiquariato alle aste Finarte 1993/94, Milano, 1994, pp. 49-53.
4- Anna Orlando, expertise scritta (marzo 2018).