François de Nomé (Metz, 1593 - Napoli, ca. 1640) e Agostino Tassi (Ponzano Romano, Roma, 1578 - Roma, 1644)
(Metz, 1593 – Napoli, ca. 1640)
Agrippina parte da Antiochia per portare a Roma le ceneri di GermanicoOlio su tela applicata su tavola, 85 x 146 cm
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- BIBLIOGRAFIA
- MOSTRE
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PROVENIENZA
Londra, collezione di Sir J. R. Coote, Earl of Mountrath; Londra, vendita Sotheby’s, 26 Ottobre 1988, loto 31; collezione privata.
BIBLIOGRAFIA
- A. Scharf, Francesco Desiderio, in “The Burlington Magazine”, 1 (1950), p. 22, fig. 19;
- A. Scharf, in A. Scharf (a cura di), The Fantastic Visions of Monsù Desiderio (catalogo della mostra, Sarasota, The John and Mable Ringling Museum of Art, febbraio 1950), pp. 12, 19, no. 17, tav. 20;
- F. Sluys, Didier Barra et François de Nomé dits Monsù Desiderio, Parigi 1961, p. 92, n. 65;
- M. R. Nappi, François De Nomé e Didier Barra. L’enigma Monsù Desiderio, Milano – Roma 1991, p. 196, n. A 116.
MOSTRE
The Fantastic Visions of Monsù Desiderio, Sarasota, The John and Mable Ringling Museum of Art, febbraio 1950
DESCRIZIONE
Il soggetto storico della nostra tela deriva da fonti classiche: in testa a un corteo, Agrippina sta per lasciare Antiochia per portare le ceneri del marito Germanico, morto in circostanze misteriose, nella natia Roma. La giovane vedova è accompagnata dal figlio, il futuro imperatore Caligola, e dall’ultimogenita Giulia Livilla. Dietro a loro una giovane donna porta l’urna funeraria e un soldato a cavallo le indica la direzione da seguire.
Come ha notato Michel Onfray, che si è interessato alla metafisica delle rovine nell’opera di de Nomé1, “la scena dell’imbarco di Agrippina potrebbe essere tratta dai testi degli storici romani del periodo imperiale, come ad esempio Tacito”. Non vediamo qui delle rovine antiche ma alti edifici che sorgono dall’acqua e che sono “(…) simboli del potere temporale e spirituale, laico o religioso, la Chiesa o lo Stato (…). Tutte le forme sono deperibili, senza nessuna eccezione” come osserva Michel Onfray. Un’atmosfera strana e instabile emana da queste architetture dalle forme stravaganti e fantasiose. L’acqua lambisce la riva e, sfiorando le fondamenta degli edifici, sembra minacciarli.
Gli elementi architettonici, tutti verticali, ritmano la composizione sia in primo piano che sullo sfondo. La colonna istoriata che poggia su un basamento quadrato è un motivo di fantasia, così come le due colonne tortili che non sorreggono un tetto o un baldacchino ma delle sculture. È evidente che l’immaginazione dell’artista si è nutrita delle incisioni manieriste della Scuola di Fontainebleau come quelle di Jacques Androuet du Cerceau (1515/1520-1585/1590) e dell’architetto fiammingo Hans Vredeman de Vries (1527-1604). È senza dubbio a quest’ultimo che de Nomè deve l’invenzione dell’ampio porticato rappresentato sulla destra. Passando sotto il grande edificio costituito da colonne alternate a nicchie con sculture, il lungo corteo percorre la scalinata e si dipana in primo piano.
Nel 1950, in occasione dell’esposizione al museo di Sarasota, Alfred Scharf, autore del catalogo, precisò che le figure sono eseguite da Belisario Corenzio (1558-1643), un pittore di origine greca attivo a Napoli. L’ipotesi fu ripresa da Maria Rosaria Nappi, che le dice identiche a quelle della Piscina probatica (collezione privata, già collezione Mondolfo)2. Patrizia Cavazzini ritiene che le figure, dipinte con tratto rapido, siano da attribuire ad Agostino Tassi (1578-1644)3.
Nel 1961, Félix Sluys aveva già segnalato che le architetture sono riprese quasi in modo identico in un dipinto che rappresenta L’arresto di San Pietro (Londra, collezione George Weidenfeld), dipinto che Maria Rosaria Nappi giudica una replica eseguita da un imitatore.
Amato dai Surrealisti, in particolare da André Breton, François de Nomé ebbe un grande successo dopo la seconda guerra mondiale, grazie a un rinnovato interesse dei collezionisti e dei musei americani. La rinnovata fortuna critica e collezionistica lo fece uscire gradualmente dall’anonimato e dall’appellativo di “Monsù Desiderio”, pseudonimo sotto il quale le sue opere venivano confuse con quelle di Didier Barra (ca. 1590/95, documentato fino al 1647), il vero “Monsù Desiderio”, anch’egli nativo della Lorena e attivo a Napoli. Nonostante ciò si continuò a riferirsi spesso a de Nomé con questo soprannome.
La carriera di François de Nomé si snoda lungo le sue peregrinazioni che da Metz lo portarono a Roma a partire dal 1602 e a Napoli nel 1610. Come risulta dai documenti ritrovati, soggiornò nella città partenopea sicuramente fino al 1631, ma probabilmente anche oltre4. Questi rari riferimenti cronologici ci permettono di constatare che ebbe una formazione romana durante la quale sviluppò un particolare passione per l’antichità classica.
Fu allievo di un certo “Maestro Baldassare”, identificato da Raffaello Causa come il fiammingo Balthazar Lauwers (1578-1642), un allievo di Paul Brill (1554-1626). Fu tramite Lauwers che de Nomé potè approfondire la cultura di Fontainebleau e conoscere le incisioni con vedute architettoniche di Jacques Androuet du Cerceau e di Hans Vredeman de Vries. La cerchia dei paesaggisti nordici con la cura minuziosa dei dettagli avrà certamente un peso rilevante nella sua formazione.
Molto presto, nel 1610 – data che coincide con la morte di Adam Elsheimer (1578-1610) – de Nomé lasciò la Città Eterna per recarsi a Napoli, città che offriva anch’essa un panorama artistico vivace e cosmopolita. Come sottolineato da Maria Rosaria Nappi, nella città partenopea esisteva una colonia di artisti nordici e fu forse questo il motivo per cui il nostro artista decise di trasferirsi lì. Tra i pittori nordici con cui entrò in contatto ricordiamo Jacob Isaacszoon Swanenburgh e il tedesco Jakob Thoma von Hagelstein. Il 13 maggio 1613, quest’ultimo fu testimone di nozze al matrimonio tra de Nomé e la figlia del pittore fiammingo Loys Croys5.
Note:
[1] M. Onfray, Métaphysique des ruines. La peinture de Monsù Desiderio, Lavaur 1995, p. 29.
[2] M. R. Nappi, François De Nomé e Didier Barra. L’enigma Monsù Desiderio, Milano - Roma 1991, p. 187, n. A 107.
[3] Ringraziamo Patrizia Cavazzini per la sua comunicazione scritta (12 giugno 2025).
[4] J. Thuillier, François de Nomé, in AA.VV., Claude Lorrain e i pittori lorenesi in Italia nel XVII secolo (catalogo della mostra, Roma, Académie de France, aprile-maggio 1982), pp. 185-205; M. R. Nappi, François de Nomé e Didier Barra. L’enigma Monsù Desiderio, Roma 1991, pp. 321-326; AA.VV., Enigma. Monsù Desiderio. Un fantastique architectural au XVIIe siècle, (catalogo della mostra, Metz, Musées de la Cour d’or, 6 novembre 2004 - 7 febbraio 2005).
[5] Su Loys Croys: E. Nappi, Les peintres lorrains à Naples entre le XVIe et le XVIIe siècle, in AA.VV., Enigma. Monsù Desiderio. Un fantastique architectural au XVIIe siècle, (catalogo della mostra, Metz, Musées de la Cour d’or, 6 novembre 2004 - 7 febbraio 2005), pp. 178-180. Il pittore è documentato a Napoli tra il 1591 e il 1616.