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François de Nomé (1593 - Naples ca 1640)

(Metz, 1593 – Napoli, ca. 1640)

L’imbarco di Agrippina per Roma

Olio su tela incollata su tavola, 85 x 146 cm  

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  • MOSTRE
  • DESCRIZIONE

PROVENIENZA


Londra, collezione di Sir J. R. Coote, Earl of Mountrath; Londra, vendita Sotheby’s, 26 Ottobre 1988, loto 31; collezione privata.
 

BIBLIOGRAFIA


- A. Scharf, Francesco Desiderio, in “The Burlington Magazine”, 1 (1950), p. 22, fig. 19;
- A. Scharf, in A. Scharf (a cura di), The Fantastic Visions of Monsù Desiderio (catalogo della mostra, Sarasota, The John and Mable Ringling Museum of Art, febbraio 1950), pp. 12, 19, no. 17, tav. 20;
-F. Sluys, Didier Barra et François de Nomé dits Monsù Desiderio, Parigi 1961, p. 92, n. 65;
-M. R. Nappi, François De Nomé e Didier Barra. L’enigma Monsù Desiderio, Milano – Roma 1991, p. 196, n. A 116.
 

MOSTRE


The Fantastic Visions of Monsù Desiderio, Sarasota, The John and Mable Ringling Museum of Art, febbraio 1950

DESCRIZIONE


Pittore preferito dai Surrealisti, in particolare da André Breton, François de Nomé ebbe un grande successo dopo la seconda guerra mondiale, sostenuto dall’interesse dei collezionisti e dei musei americani. Un successo che lo fece uscire gradualmente dall’anonimato e dall’appellativo di “Monsù Desiderio”, pseudonimo sotto il quale le sue opere venivano confuse con quelle di Didier Barra (ca. 1590/95, documentato fino al 1647), il vero “Monsù Desiderio”, anch’egli nativo della Lorena e attivo a Napoli. Nonostante ciò si continuò a riferirsi spesso a de Nomé con questo soprannome.

Il soggetto della nostra tela si ispira alle fonti classiche. Come ha notato Michel Onfray, che si è interessato alla metafisica delle rovine nell’opera di de Nomé1, “L’imbarco di Agrippina potrebbe essere estratto dai testi degli storici romani del periodo imperiale, come ad esempio Tacito”.
Agrippina in testa al corteo parte per intraprendere il lungo viaggio verso Roma al fine di riportare le ceneri del marito Germanico, morto ad Antiochia in circostanze misteriose. Agrippina è accompagnata da suo figlio, il futuro imperatore Caligola, e dalla sua ultimogenita Giulia Livilla. Dietro a loro una giovane donna porta l’urna funeraria e un soldato, con un dito puntato, indica la direzione da seguire.
Non vediamo qui delle rovine antiche ma alti edifici che sorgono dall’acqua e che sono “(…) simboli del potere temporale e spirituale, laico o religioso, la Chiesa o lo Stato (…).Tutte le forme sono deperibili, senza nessuna eccezione.” come osserva Michel Onfray. Un’atmosfera strana e instabile emana da queste architetture dalle forme stravaganti e fantasiose. L’acqua lambisce la riva e, sfiorando le fondamenta degli edifici, sembra minacciarli.

Elementi architettonici verticali ritmano la composizione sia in primo piano che sullo sfondo. La colonna istoriata che poggia su un basamento quadrato è un motivo nuovo, così come le due colonne tortili che non sorreggono un tetto o un baldacchino ma delle sculture. È evidente che l’immaginazione dell’artista si è nutrita delle incisioni manieriste della Scuola di Fontainebleau come quelle di Jacques Androuet du Cerceau (1515/1520-1585/1590) e dell’architetto fiammingo Hans Vredeman de Vries (1527-1604). È senza dubbio a quest’ultimo che de Nomè deve l’invenzione dell’ampio porticato rappresentato sulla destra.
Questo elemento architettonico, costituito da colonne alternate a nicchie con sculture, permette al lungo corteo di uscire dal grande arco, percorrere la scalinata e dipanarsi in primo piano. È noto che il nostro artista sviluppò la sua passione per l’antichità classica durante la sua formazione romana.
Nel 1950, in occasione dell’esposizione al museo di Sarasota, Alfred Scharf, autore del catalogo, precisò che le figure sono eseguite da Belisario Corenzio (1558-1643), un pittore di origine greca attivo a Napoli. L’ipotesi fu ripresa da Maria Rosaria Nappi, che le dice identiche a quelle della Piscina probatica (collezione privata, già collezione Mondolfo)2.
Nel 1961, Félix Sluys aveva già segnalato che le architetture sono riprese quasi in modo identico in un dipinto che rappresenta L’arresto di San Pietro (Londra, collezione George Weidenfeld), dipinto che Maria Rosaria Nappi considera essere una replica eseguita da un imitatore.

La carriera di François de Nomé si snoda lungo le sue peregrinazioni che da Metz lo portarono a Roma a partire dal 1602 e a Napoli nel 1610. Come risulta dai documenti ritrovati, soggiornò nella città partenopea sicuramente fino al 1631, ma probabilmente anche oltre. Questi rari riferimenti cronologici ci permettono pertanto di constatare che ebbe una formazione romana. Fu allievo di un certo “Maestro Baldassare”, identificato da Raffaello Causa come il fiammingo Balthazar Lauwers (1578-1642), un allievo di Paul Brill (1554-1626). Fu tramite Lauwers che de Nomé potè approfondire la cultura di Fontainebleau e conoscere le incisioni con vedute architettoniche di Jacques Androuet du Cerceau e di Hans Vredeman de Vries. La cerchia dei paesaggisti nordici con la cura minuziosa dei dettagli avrà certamente un peso rilevante nella sua formazione.
Molto presto, nel 1610 – data che coincide con la morte di Adam Elsheimer (1578-1610) – de Nomé lasciò la Città Eterna per recarsi a Napoli, città che offriva anch’essa un panorama artistico vivace e cosmopolita. Come sottolineato da Maria Rosaria Nappi, nella città partenopea esisteva una colonia di artisti nordici e fu forse questo il motivo per cui il nostro artista decise di trasferirsi lì. Tra i pittori nordici che frequentò citiamo Jacob Isaacszoon Swanenburgh e il tedesco Jakob Thoma von Hagelstein. Il 13 maggio 1613, quest’ultimo fu testimone di nozze al matrimonio tra de Nomé e la figlia del pittore fiammingo Loys Croys4.


Notes :
1. M. Onfray, Métaphysique des ruines. La peinture de Monsù Desiderio, Lavaur 1995, p. 29.
2- M. R. Nappi, François De Nomé e Didier Barra. L’enigma Monsù Desiderio, Milano - Roma 1991, p. 187, n. A 107.
3. J. Thuillier, François de Nomé, in AA.VV., Claude Lorrain e i pittori lorenesi in Italia nel XVII secolo (catalogo della mostra, Roma, Académie de France, aprile – maggio 1982), pp. 185-205; M. R. Nappi, François de Nomé e Didier Barra. L’enigma Monsù Desiderio, Roma 1991, pp. 321-326; AA.VV., Enigma. Monsù Desiderio. Un fantastique architectural au XVIIe siècle (catalogo della mostra, Metz, Musées de la Cour d’or, 6 novembre 2004 – 7 febbraio 2005).
4. Su Loys Croys, vedi E. Nappi, Les peintres lorrains à Naples entre le XVIe et le XVIIe siècle”, in AA.VV., Enigma. Monsù Desiderio. Un fantastique architectural au XVIIe siècle (catalogo della mostra, Metz, Musées de la Cour d’or, 6 novembre 2004 – 7 febbraio 2005), pp. 178-180. Il pittore è documentato a Napoli tra il 1591 e il 1616.