Enrico Albricci (Vilminore di Scalve 1714 - Bergame 1773)
(Vilminore di Scalve 1714 – Bergamo 1773)
Cucina di naniOlio su tela, cm 90 x 100
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PROVENIENZA
Bergamo, collezione privata.
MOSTRE
Inedito
DESCRIZIONE
Il dipinto rappresenta una Cucina di nani o meglio una sorta di fantasioso accampamento dove vari personaggi minuscoli si affaccendano attorno al grande spiedo sul quale viene arrostito un maialino. La scena è articolata con straordinaria bizzarria, immaginando un tendone sotto al quale un girarrosto gigantesco viene fatto muovere da un nano grazie a una ruota simile a quella di un mulino, nella quale si trova a camminare come un piccolo animaletto ammaestrato. Un nano cuoco versa dell’olio sul maialino, prendendolo da un paiolo retto sulla testa da un collega, mentre un altro ravviva il fuoco con una canna a soffietto; poi qualcuno pesta forse delle spezie in un mortaio e qualcun altro trasporta una fascina di nuova legna, che è stata appena tagliata dal collega seduto, che regge un’ascia. Altri nani – donne e uomini – chiacchierano tra loro e probabilmente attendono il lauto pranzo.
Tutta la scena è composta in un elegante monocromo grigio attentamente chiaroscurato, dal quale si staccano solo gli alberi giallo-oro, alcuni dei quali fanno da supporto al tendone mentre altri, disposti comunque attorno al perimetro, fanno da contesto alla scena principale.
Fin qui tutto contribuisce a creare una tipica bambocciata anche se di particolare finezza. Attorno però vediamo una elegante specchiatura di marmo rosso screziato di verde e di giallo, a sua volta inquadrata in una cornice modanata grigia dipinta in prospettiva. Questa particolare conformazione dell’immagine, unita anche al formato approssimativamente quadrato della tela, fa supporre che – quasi certamente – si trattasse in origine di una sovrapporta, o forse di un paracamino.
Anche la provenienza da uno storico palazzo di Bergamo, appartenente ad una delle più importanti famiglie della città, può essere utile a confermare questa collocazione come decorazione che in qualche modo faceva parte dell’arredo, evidentemente di qualità raffinata e importante.
L’opera è inedita. Ma la sua attribuzione all’Albricci è indiscutibile per i numerosissimi confronti che è possibile istituire con altre opere sue dello stesso genere. Le scene con i nani rappresentano infatti probabilmente la parte maggiore della produzione del pittore dopo il trasferimento a Bergamo avvenuto nel 1763, come ci dice Francesco Maria Tassi nella sua dettagliata biografia, inclusa nella celebre opera sui pittori bergamaschi, pubblicata postuma nel 1793. Questo tipo di immagini scherzose e adatte al collezionismo privato incontra immediatamente a Bergamo il gusto degli appassionati più esigenti, che già certamente conoscevano le opere di Faustino Bocchi, autore di simili soggetti, il quale era morto però nel 1741.
Ci racconta il Tassi che l’Albricci avrebbe imparato a conoscere questi soggetti proprio nelle collezioni bergamasche, e in particolare in quelle di Giacomo Carrara e di Ludovico Feronati. Evidentemente il genere gli era risultato congeniale, forse per una sua vena ironica e un po’ stravagante, della quale sempre il Tassi ci dice, immaginandone le cause in una condizione psicologica dell’Albricci che sarebbe stato incline a brevi periodi di stranezza e forse di depressione. Fatto sta che rapidamente l’artista si dimostra capace di dipingere al meglio le cosiddette ‘bambocciate’ tanto da ‘non cedere in eccellenza a quelle del Bocchi medesimo’, come dice sempre Tassi. Si tratta di un periodo fitto di commissioni numerosissime per tutte le principali famiglie della città, che finalmente offre all’Albricci anche una certa agiatezza economica, sia pure a fronte di un’attività molto intensa. Infatti a fianco di dipinti con questi soggetti egli continua comunque anche nella produzione a tema sacro, lasciando opere di grande scala in diverse chiese (per l’attività dell’Albricci si veda la monografia di M.A. Baroncelli, in I pittori bergamaschi, Il Settecento, III, Bergamo 1990, pp. 105-275). Da notare però che mentre Tassi accenna ad esempio a suoi dipinti che avrebbero ornato persino un cocchio, nella monografia citata non troviamo pubblicate altre tele che potrebbero aver fatto da sovrapporta come questa. Non è da escludere però che altre simili – inedite – si trovino nello stesso palazzo da cui questa proviene, o in altre dimore della città. E alla pittura di ‘sopraporte’ fa cenno il Tassi. Il periodo a Bergamo si chiuderà con la morte del pittore, giusto un decennio dopo il suo arrivo, nel 1773.
È dunque facile datare il nostro dipinto proprio a quel decennio 1763-1773, mentre è meno plausibile proporre una collocazione cronologica più precisa. Forse vista l’alta qualità dell’opera, con gli eleganti confronti tra monocromo e policromia, così come la brillante immaginazione di questa sorta di piccolo asteroide abitato, galleggiante in una nebulosa rossastra, si può pensare a un momento particolarmente felice del soggiorno bergamasco, che si può presumere nei primi anni. Scrive sempre il Tassi infatti che il pittore ‘molto contento si ritrovò di essersi stanziato in Bergamo, dove da’ dilettanti essendo molto gradite le sue opere, spezialmente di pigmei, ebbe continue commissioni’.
Da segnalare infine che il recente restauro ad opera di Donatella Borsotti ha rimosso la vecchia vernice ingiallita che offuscava la superficie, rivelando una stesura cromatica in ottime condizioni, particolarmente integra e brillante.