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Alessandro Varotari detto il Padovanino (Padova 1588 - Venezia 1648)

(Padova, 1588 – Venezia, 1648)

Ecuba e Priamo

Olio su tela, 102 x 126 cm

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  • BIBLIOGRAFIA
  • MOSTRE
  • DESCRIZIONE

PROVENIENZA


Collezione privata.
 

BIBLIOGRAFIA


Davide Banzato, in Ospiti al museo. Maestri veneti dal XV al XVIII secolo tra conservazione pubblica e privata, catalogo della mostra a cura di Davide Banzato, Elisabetta Gastaldi, Padova, Musei Civici, 31 marzo – 17 giugno 2012, pp. 17, 80-81, n. 22.
 

MOSTRE


Ospiti al museo. Maestri veneti dal XV al XVIII secolo tra conservazione pubblica e privata, a cura di Davide Banzato, Elisabetta Gastaldi, Padova, Musei Civici, 31 marzo – 17 giugno 2012, pp. 17, 80-81, n. 22.

DESCRIZIONE


Quella dipinta dal Padovanino è una delle più tragiche scene virgiliane (Eneide II, 506-525). Durante la notte, dal celeberrimo cavallo sono usciti i soldati greci e in poche ore Troia sarà persa. L’anziano re Priamo indossa l’armatura per difendere la sua città dall’astuto attacco greco. Ecuba, la regina, rifugiatasi insieme alle figlie all’ombra delle statue degli dei, ferma il marito stringendolo in un abbraccio e implorandolo di non compiere l’inutile sacrificio di se stesso. 

Il pittore padovano costruisce la scena con grande teatralità: l’anziano Priamo sembra volersi divincolare dal commovente abbraccio di Ecuba che stringe il marito a sé mentre i figli bambini li circondano in un atteggiamento che sta tra il gioco e la paura. Il Manierismo tardo del Padovanino si esprime nell’articolatissimo rapporto di tensione creato dalle mani di tutti i personaggi coinvolti, una sorta di fremito forse suggerito al pittore dalle parole di Virgilio: “Ecuba e le figlie, intorno all’altare, come colombe cacciate a precipizio da una nera tempesta, sedevano strette insieme”.
Il volto della bella regina, delicatamente coronata di perle, esprime tutta l’accorata preoccupazione raccontata nel testo antico mentre il Re, sconvolto, è frenato solo la debolezza della vecchiaia. Il paggetto che regge la tenda a sinistra contribuisce con l’espressione sorpresa e spaventata alla tensione emotiva di tutto il racconto. Il risultato è una scena di grande intensità drammatica, con la famiglia di Priamo che sembra gettarglisi addosso quasi a volerlo proteggere dal suo stesso eroico coraggio. 

Le superfici levigate e le figure ben delineate hanno portato a datare il dipinto ai primi anni Trenta del Seicento, quando il Padovanino si è ormai allontanato dalla maniera tizianesca degli anni giovanili e si dedica ad una consapevole ripresa dei maestri del Cinquecento veneto. I contorni delle figure si fanno più netti e la teatralità delle scene aumenta. Nei primi anni Trenta, Varotari dipinge una grande tela per Santa Maria della Salute dove gli angeli “tuti amorosi, e tuti morbideti” (M. Boschini, 1660), come i figli di Ecuba e Priamo, sono bambini giocosi descritti con evidente gusto per gli esperimenti prospettici.

La tela con Ecuba e Priamo è dunque l’ultima versione di un soggetto affrontato altre due volte dal pittore (opere di confronto) e di sicuro successo presso i committenti privati dell’epoca, testimoni o partecipi dei continui scontri politici e armati tra la Repubblica di Venezia, la Spagna e l’Impero. 

Alessandro Varotari nasce a Padova il 4 aprile 1588. La sua è una famiglia dedita alla pittura: il padre, Dario Varotari il Vecchio, era pittore di cultura veronesiana mentre il nonno materno, Giovan Battista Ponchino, era statao primo responsabile della decorazione delle stanze del Consiglio dei Dieci a Palazzo Ducale a Venezia. La sorella di Alessandro, Chiara, e il figlio di lui, Dario Varotari il Giovane, furono anch’essi pittori attivi per lo più nella natia Padova. 
Dopo una ancora misteriosa formazione, probabilmente svoltasi a Padova, Alessandro si trasferì stabilmente a Venezia nel 1614. La giovinezza fu segnata dallo studio delle opere di Tiziano: per copiare i Baccanali (oggi all’Accademia Carrara di Bergamo), il Padovanino fu anche a Roma, i dipinti relizzati dal Tiziano per Alfonso I d’Este erano infatti passati a Roma quando Ferrara era entrata nello Stato Pontificio, nel 1598. Tornato a Venezia, lavorò per committenti sia religiosi che privati in laguna e a Roma, fino alla morte nel 1649. Il catalogo ragionato dell’opera del Padovanino (U. Ruggeri, 1988) dimostra la fortuna del pittore presso i collezionisti Sei e Settecenteschi, sia a Venezia che in Europa dove figura negli inventari di quadrerie di grande prestigio come quella dell’arciduca Leopoldo Guglielmo d'Asburgo.