next prev

Alessandro Magnasco

(Gênes, 1667-1749)

La lanterne magique

Huile sur toile transportée sur panneau, 62 x 76 cm   

  • PROVENANCE
  • BIBLIOGRAPHIE
  • EXPOSITIONS
  • DESCRIPTION

PROVENANCE


Milano, collezione privata.

BIBLIOGRAPHIE


L. Muti, D. De Sarno Prignano, Magnasco, Ravenna 1994, p. 238, n. 221, fig. 170.

DESCRIPTION


All’interno di un edificio fatiscente, che si apre con grandi arcate su uno sfondo di cielo azzurro solcato da nuvole, uno straccione girovago mostra, richiamando il pubblico con un tamburo, la lanterna magica, issata su cavalletti, a un gruppo di popolani che fanno la coda per venire ad osservare le immagini da una finestrella. Alla sinistra della scena, un cantastorie esibisce un tabernacolo aperto con la statuetta di un santo e un tabellone con le storie che ne illustrano vita e miracoli. Sullo sfondo del cielo dietro a questo gruppo si erge una statua con una figura femminile su un alto basamento. In primo piano, sedute a terra su un pavimento di assi sconnesse, vi sono figure di vagabondi e straccioni tipiche dell’iconografia magnaschesca, fra le quali un violinista e un bambino che gioca con un cane; appesi ai pilastri, pezzi di armatura; a terra in primo piano, un cannone su ruote a destra e tre affusti di cannone a sinistra; nell’apertura dell’ultima arcata a destra un bucato di panni bianchi è steso su una corda.

Il dipinto è stato pubblicato da Muti e De Sarno Prignano (Magnasco, Faenza 1994, p.238, n.221, fig.170) con l’attribuzione al Magnasco e la collocazione negli anni toscani del pittore (1703 – 1709). Si può senza dubbio concordare con l’attribuzione e la datazione agli anni del soggiorno fiorentino dell’artista, per i caratteri pittorici che connotano il dipinto e che si possono accostare a quelli delle due note tele degli Uffizi, La scuola dei birbi e La gazza ammaestrata, realizzate per il Gran Principe Ferdinando de’ Medici e registrate nell’inventario della sua quadreria. Gli stessi caratteri connotano le architetture fatiscenti, anch’esse eseguite dal Magnasco, come ho potuto verificare con la visione diretta del dipinto. Il linguaggio pittorico dell’artista è caratterizzato, in questi anni, da una pennellata densa e grumosa e da forti contrasti luce/ombra che scavano le figure; tocchi di luce fanno emergere dall’oscurità figure e oggetti.

Il soggetto della lanterna magica e del cantastorie girovago fu più volte replicato dall’artista: assai simili sono La lanterna magica della Pinacoteca di Brera e il Cantastorie del Museo di Heidelberg, opere anch’esse realizzate negli anni fiorentini. Queste iconografie, che ritraggono certamente realtà visibili nelle strade e nelle piazze dell’epoca, esprimono, anche stilisticamente, lo studio delle stampe di Jacques Callot, che Magnasco potè vedere a Firenze nelle collezioni medicee. L’artista francese aveva soggiornato a Firenze nella prima metà del Seicento e il Magnasco fu tanto suggestionato dalle sue stampe da riprendere in pittura, nei dipinti dei musei di Bucarest e di Sibiu, due de Les miséres et les malheurs de la guerre, l’Ospedale e il Saccheggio di una chiesa (F. Franchini Guelfi, Alessandro Magnasco, Genova 1977, pp. 89-90). E in molti dipinti del pittore genovese si ritrovano le figure dei gueux di Callot: mendicanti che camminano con le stampelle, soldatacci sbrindellati, donne cenciose sedute a terra che spulciano bambini. I rapporti di queste rappresentazioni del Callot e del Magnasco con il romanzo picaresco spagnolo e con la “letteratura dei pitocchi” è già stato studiato e dimostrato (F. Franchini Guelfi, Alessandro Magnasco, 1977, pp. 96-108).

Questo dipinto fa parte di un importante settore dell’opera magnaschesca, che si connota, nel panorama della cultura figurativa contemporanea, come un consapevole discorso di dissenso (F. Franchini Guelfi, Il “pittor pitocco”, in Alessandro Magnasco (1667-1749). Gli anni della maturità di un pittore anticonformista, catalogo della mostra a cura di F. Franchini Guelfi, Parigi, Galerie Canesso, 2016, pp. 20- 23). Alle coloratissime e raffinate scene sacre e mitologiche della pittura contemporanea, realizzate soprattutto a scopo decorativo, il Magnasco oppone storie di inquietanti straccioni e vagabondi accampati fra rovine, segnati da un tratto spezzato e da un colore severo che esclude ogni “piacere” visivo. Il dipinto, in buono stato di conservazione, è di qualità pittoricamente molto alta ed è una delle opere più significative di queste tematiche.

La scheda è a cura di Fausta Franchini Guelfi.​​​​​​​