Agostino Verrocchi
(Roma, 1586 c. - 1659)
Allegoria dell’estate e Allegoria dell’autunnoCoppia di olio su tela, 98 x 135 cm
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PROVENIENZA
Italia, collezione privata
BIBLIOGRAFIA
Franco Paliaga in L’origine della natura morta in Italia. Caravaggio e il Maestro di Hartford, cat. della mostra a cura di Anna Coliva e Davide Dotti, Roma, Galleria Borghese, 16 novembre 2016 – 19 febbraio 2017, pp. 196-197, 244, nn. 28-29.
MOSTRE
L’origine della natura morta in Italia. Caravaggio e il Maestro di Hartford, Anna Coliva e Davide Dotti (a cura di), Roma, Galleria Borghese, 16 novembre 2016 – 19 febbraio 2017.
DESCRIZIONE
Queste due sontuose composizioni sono state presentate per la prima volta alla mostra L’origine della natura morta in Italia, Caravaggio e il Maestro Hartford, tenutasi nel 2016 alla Galleria Borghese di Roma. Franco Paliaga, autore della scheda, e i curatori della mostra, attribuiscono le due tele ad Agostino Verrocchi, pittore caravaggesco specializzato in nature morte. La sua opera mostra una forte vicinanza agli esempi di “natura in posa” del misterioso Maestro di Hartford (attivo a Roma tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento) e a quelli del marchese Giovanni Battista Crescenzi (1577 -1635) e dell’Accademia. L’evocazione allegorica dell’estate e dell’autunno delle nostre due tele si inserisce perfettamente nel repertorio di composizioni lussureggianti del pittore. Su un tavolo in pietra sono esposte sontuose ceste di vari frutti circondate da altri frutti sparsi, con le foglie che sporgono oltre lo spigolo del piano in pietra creando un efficace effetto illusionistico. Concepite come pendant, queste due composizioni sono impreziosite da farfalle che svolazzano, che spezzano l’uniformità del fondo scuro, interrotto altrimenti soltanto dalla presenza, sul lato destro, di una zona più luminosa, dal sapore caravaggesco.
Simboli dell’anima, le farfalle spostano queste tele dalla semplice rappresentazione di cibi campestri verso il tipo della vanitas allusiva al tempo che passa e degrada tutti gli elementi. Una lumaca e una cavalletta animano il primo piano della natura morta con la cesta d’uva, un’altra lumaca striscia sul ramo di gelsi nell’altra composizione. Dalle pesche all’uva, si passa dall’evocazione dell’estate a quella dell’autunno: l’artista evoca le due stagioni più propizie per la raccolta della frutta. Partecipano a questa evocazione due sole verdure: i carciofi per l’estate e una zucca per l’autunno.
La luce è tutta concentrata sui tavoli, beige chiaro per l’estate e grigio-bianco per l’autunno, sui quali si delineano nettamente le ombre proiettate da foglie e frutti. Il pittore costruisce la composizione alternando i verdi e i rossi, colori complementari, in un equilibrio rotto soltanto dalle susine bluastre bilanciate dalla pelle aranciata delle pesche.
Paliaga propone di datare la nostra coppia di tele intorno al 1630, in un periodo ancora fortemente caravaggesco durante il quale l’artista si concentra sulla resa coloristica della frutta senza dimenticare la trasparenza cristallina dei grandi acini d’uva che mantengono un certo gusto arcaico nella rappresentazione, caratteristica tipica della natura morta prebarocca romana.
Agostino Verrocchi appartiene a una famiglia di artisti toscani che risale fino ad Andrea del Verrocchio (1435-1488), maestro di Leonardo da Vinci (1452-1519) a Firenze. L’inizio della ricostruzione del catalogo di Agostino Verrocchi coincide con la mostra napoletana sulla natura morta del 19641, con la scoperta di quattro grandi ardese firmate “Augustinus Verrochius” (Roma, collezione privata), firma latinizzata di grande importanza per la scoperta di un pittore non menzionato nelle fonti antiche e allora del tutto sconosciuto. A queste prime opere certe, Mina Gregori ha aggiunto La cesta di fichi (Pesaro, Museo Civico) e un certo numero di composizioni in collezione privata2. Grazie alle sue ricerche, si è scoperto che tra il 1619 e il 1626 l’artista risiedette a Roma, nella parrocchia di San Lorenzo, con il fratello Giovanni Battista (1573-1626), anch’egli pittore, per poi tornarci, questa volta sposato, nel 1630, rimanendo fino al 1636. A partire da questa data si sarà forse trasferito in un altro quartiere della città Santa o in un’altra città, forse Napoli, come proponeva Raffaello Causa nel 1964. Altri dati archivistici hanno confermato il ruolo centrale occupato dal pittore sulla scena artistica romana della prima metà de XVII secolo. Bocchi (2015), che ha pubblicato alcune nuove proposte attributive per il Verrocchi, ha cercato di collocare più precisamente la sua attività nel fiorente contesto della natura morta caravaggesca3.
Note:
1 - Raffaello Causa, Augustinus Verrochius, in La natura morta italiana, catalogo della mostra, Napoli-Zurich-Rotterdam, ottobre 1964 – marzo 1965, p. 40, figg. 21a, 21b, 22a.
2 - Mina Gregori, Notizie su Agostino Verrocchi e un’ipotesi per Giovan Battista Crescenzi, in «Paragone», 275, 1973, pp. 36-38;
3 - Giuseppe Pes, Nuovi documenti su Agostino Verrocchio e la sua cerchia a Roma, in Luce e ombra. Caravaggismo e naturalismo nella pittura toscana del Seicento, cat. della mostra a cura di Pier Luigi Carofano, Pontedera, Fondazione Piaggio, 2005, pp. 252-256; Gianluca Bocchi e Ulisse Bocchi, Still Life painters in Rome. Italian artists 1630-1750, Viadana, 2005, pp. 13-42; Simona Sperindei, Briciole documentarie sulla famiglia Verrocchi à Rome, in Atti delle Giornate di Studi sul Caravaggismo e il Naturalismo nella Toscana del Seicento [Siena, Certosa di Pontignano, 21 maggio 2005; Casciana Terme, Palazzo delle Terme, 24-25 maggio 2005], a cura di Pierluigi Carofano, Pontedera, 2009, pp. 291-294; Francesco Paliaga, Su Tommaso Salini, sui Verrocchi e su alcuni pittori di natura morta a Roma al tempo di Caravaggio, «Valori Tattili», n. 00, 2011, pp. 62-80.