next prev

Andrea Vaccaro

(Napoli, 1604 – 1670)

Il Martirio di san Sebastiano

Olio su tela, 130 x 102 cm 1640 circa

  • PROVENIENZA
  • BIBLIOGRAFIA
  • MOSTRE
  • DESCRIZIONE

PROVENIENZA


Lugano, collezione Piero Pagano (1929-2007); 2009, Gstaad (Svizzera), collezione privata.

BIBLIOGRAFIA


- Vincenzo Pacelli, in Civiltà del Seicento a Napoli, cat. della mostra (Napoli, Museo di Capodimonte, 24 ottobre 1984 – 14 aprile 1985), vol. 1, pp. 491-492, n. 2.268;
- Wolfgang Prohaska, in Guido Reni e l’Europa. Fama e Fortuna, cat. della mostra a cura di Sybille Ebert-Schifferer, Andrea Emiliani and Erich Schleier (Frankfurt, Schirn Kunsthalle, 1 dicembre 1988 – 26 febbraio 1989), pp. 676-677, n. D53;
- Riccardo Lattuada, I percorsi di Andrea Vaccaro (1604-1670), in Mariaclaudia Izzo, Nicola Vaccaro (1640-1709). Un artista a Napoli tra Barocco e Arcadia, Todi, 2009, pp. 58-59, fig. 38;
- Nicola Spinosa, Pittura del Seicento a Napoli da Caravaggio a Massimo Stanzione, Napoli, 2010, p. 423, n. 459;
- Michel Hilaire, L’âge d’or de la peinture à Naples de Ribera à Giordano, cat. della mostra a cura di Michel Hilaire e Nicola Spinosa (Montpellier, Musée Fabre, 20 giugno – 11 ottobre 2015), pp. 162-163, n. 36.

MOSTRE


Civiltà del Seicento a Napoli, Napoli, Museo di Capodimonte, 24 ottobre 1984 – 14 aprile 1985, n. 2.268;
Guido Reni e l'Europa. Fama e Fortuna , Frankfurt, Schirn Kunsthalle, 1 dicembre 1988 – 26 febbraio 1989, n. D53;
L’âge d’or de la peinture à Naples de Ribera à Giordano , Montpellier, Musée Fabre, 20 giugno – 11 ottobre 2015, n. 36.

DESCRIZIONE


Monogramma in basso a destra “A V” intrecciate

La scena dipinta da Vaccaro rappresenta una scelta narrativa rara, quella di raccontare la preparazione del giovane alla tortura ordinata dall’imperatore Diocleziano: essere legato a un ceppo in Campo Marzio e servire da bersaglio vivente per i suoi esecutori (anche se sopravviverà a questa pena). La combinazione dell’iconografia del Cristo alla colonna e dell’immagine del dio pagano Apollo, risulta nella rappresentazione costante di san Sebastiano come giovane efebo nudo (invece che armato, da centurione della I Coorte, quale era). La figura del condannato, con un braccio legato sopra la testa e uno dietro la schiena, prende un movimento chiasmico. Lo sfondo alberato e, soprattutto, il cielo blu creano  un efficace contrasto con i volti dei personaggi sulla sinistra, quello del carnefice in ombra di profilo così come quelli delle due figure in secondo piano, uno con un elmo riccamente decorato e l’altro, che gli sta parlando mentre indica il santo, in controluce con in testa un turbante. Il busto glabro del giovane, unico elemento in piena luce, occupa il primissimo piano di questa serrata composizione.
Il forte effetto chiaroscurale dimostra l’impatto decisivo della lezione di Caravaggio (1571-1610) nella formazione di Vaccaro, anche se una persino maggiore influenza deriva dall’alunnato svolto dal nostro presso Jusepe de Ribera (1591-1652), lo Spagnoletto, documentato a Napoli dal 1616. L’interesse di Vaccaro vira poi verso Guido Reni (1575-1642), presente a Napoli nel 1620-1621, Massimo Stanzione (c. 1585 – c. 1658) e gli anni giovanili di Bernardo Cavallino (1616 – c. 1656). Il nostro Martirio di San Sebastiano si colloca al punto di intersezione tra queste due distinte tendenze artistiche: il protagonista della scena appare quasi sospeso nel tempo come nelle opere di Guido Reni (ad esempio nella tela con lo stesso soggetto Genoa, Musei di Strada Nuova – Palazzo Rosso) e Ribera (nella tela del 1636 oggi al Prado a Madrid), con Vaccaro che sostituisce al pathos una tensione mistica, espressa attraverso lo sguardo rivolto al cielo del santo. Come ha notato De Dominici (1683-1759), Vaccaro nell’imitare Guido Reni nelle «belle arie delle teste, e nel divin girar degl’occhi al cielo» rinnova il proprio stile1. Mentre un sottile chiaroscuro modella il corpo di Sebastiano, il blu del cielo attesta l’introduzione della pittura di luce e l’interesse coloristico neo-veneziano diffuso a Napoli tra gli anni Trenta e Quaranta del XVII secolo. Quando il nostro dipinto è stato esposto a Napoli (1984-1985), Vincenzo Pacelli ha proposto la convincente datazione intorno al 1640. La combinazione del naturalismo col classicimo conferisce forza e, al contempo, sensualità a questa composizione. Un gruppo simile a quello dei carnefici sulla sinistra, ma a figura intera, compare anche in una tela già nella collezione di of Sebastián de Borbon y Braganza a Madrid2.

Il nostro dipinto è firmato in basso a sinistra con il riconoscibile monogramma composto dalle iniziali dell’autore, AV, intrecciate. Figlio di un pittore, la prima formazione di Andrea Vaccaro avviene nel contesto del caravaggismo e del naturalismo napoletano e, più in generale, nell’ambito vivissimo della pittura a Napoli nei primi decenni del XVII secolo. Vaccaro crea il suo proprio stile caratterizzato dalla coerenza delle invenzioni formali e dall’attitudine serena delle figure, fortemente influenzata dal bolognese Guido Reni, da Massimo Stanzione e Bernardo Cavallino. Tra la metà degli anni Trenta e il 1660, le opere di Vaccaro dimostrano la conoscenza di Van Dyck (1599-1641) ed è a questo periodo che appartengono le sue grandi pale d’altare, caratterizzate da un accentuato classicismo. Questo approccio equilibrato pone Vaccaro in netto contrasto con l’attitudine manifestamente barocca del linguaggio di Mattia Preti (1613-1699) e Luca Giordano (1634-1705) e piuttosto in linea con il perdurare dello spirito controriformista. All’attività per committenze pubbliche, Vaccaro affianca una fitta produzione per la clientela privata, specialmente interessata a soggetti profani spesso venati di latente sensualità.

Note:
1- Bernardo De Dominici, Vite de’ pittori, scultori ed architetti napoletani, 3 vol., Napoli, 1742-1745, III, p. 149.
2- La pittura napoletana del ’600, a cura di Nicola Spinosa, Milano, 1984, n. 832.