- PROVENIENZA
- BIBLIOGRAFIA
- MOSTRE
- DESCRIZIONE
PROVENIENZA
Como, collezione Luciano Uboldi (Lugano, 1898 – Morbio Inferiore, 1986), almeno dal 1953; Rancate, collezione Giovanni Züst (Basilea, 1887 – Rancate, 1976), almeno dal 1956 – ante 1966; Milano, collezione privata.
BIBLIOGRAFIA
- Barocke Kunst der Schweiz, catalogo della mostra (Lucerna, Kunstmuseum, 7 luglio – 23 settembre 1956), Lucerna 1956, p. 75, n. 277 (come cerchia di Giovanni Battista Discepoli);
- M. Agliati Ruggia, Biografia di un benefattore, in Arte, antichità, argenti. Le collezioni di Giovanni Züst nei musei di Rancate, Basilea e San Gallo, catalogo della mostra (Rancate, Pinacoteca cantonale Giovanni Züst, 20 marzo – 28 agosto 2016), Bellinzona 2016, p. 27, nota 43;
- S. Valle Parri, La collezione Züst. Acquisizioni storico critiche e qualche indicazione, in S. Valle Parri e G. Zavatta, Il catalogo della collezione Züst di Antonio Morassi (1957), Quaderni del «Bollettino Storico della Svizzera Italiana», 14, Bellinzona 2019, p. 40 e nota 29;
- G. Zavatta, Antonio Morassi. Catalogo dei dipinti della collezione comm. Giovanni Züst a Rancate, in S. Valle Parri e G. Zavatta, Il catalogo della collezione Züst di Antonio Morassi (1957), Quaderni del «Bollettino Storico della Svizzera Italiana», 14, Bellinzona 2019, p. 80, n. 3 (come Giovanni Serodine intorno al 1620).
MOSTRE
Barocke Kunst der Schweiz, Lucerna, Kunstmuseum, 7 luglio – 23 settembre 1956, n. 277.
DESCRIZIONE
1650-1657 circa
Il dipinto, in ottimo stato di conservazione, ritrae un anziano filosofo che, tenendo un compasso con la mano destra, è intento a prendere le misure di un piccolo globo terrestre mentre, con la mano sinistra, tiene il segno in un volume sulle pagine del quale si intuiscono alcune illustrazioni geometriche. Analogamente, in secondo piano è aperto un grande libro con rappresentazioni semplificate di una sfera armillare geocentrica e di un quadrante astronomico d’altezza per calcolare la posizione degli astri. Fa da fondo alla scena una parete bruna, molto scura, in forte contrasto con il luminoso paesaggio inquadrato in una finestra aperta su un golfo, una marina dipinta con rapide pennellate dai toni chiarissimi. In primissimo piano una splendida natura morta cartacea di fogli densi di appunti e volumi consumati dal tempo e dall’uso.
Nel gesto di puntare il compasso sulla sfera, Antonio Morassi nel 1957 propone di riconoscere un’allusione agli studi di Archimede sulla geometria delle superfici curve e alla quadratura del cerchio1. A supporto di questa identificazione, Francesco Ceretti ravvisa un’assonanza tra i grafici che si intravedono sulle pagine del tomo semiaperto in primo piano e alcune illustrazioni che corredano l’edizione latina dei teoremi archimedei curata dal matematico bresciano Niccolò Tartaglia, edita a Venezia nel 15432.
Francesco Ceretti, sulla base di confronti stilistici, ha restituito la tela al pittore messinese Domenico Marolì e, in particolare, al suo soggiorno veneziano nel sesto decennio del Seicento, quando si distingue in Laguna come acclamato autore di pastorali, paesaggi e marine3. Tra le opere dipinte da Marolì a Venezia, Ceretti ricorda in particolare la tela commissionata da Giovanni Battista Nani per la sua Accademia dei Filateti, una sorprendente scena con Euclide di Megara che si traveste da donna per recarsi ad Atene a seguire le lezioni di Socrate presentata nel 2010 dalla nostra galleria a Parigi. Con questa e con altre tele contemporanee del pittore – come il Giacobbe che inganna Isacco della Galleria Nazionale di Palazzo Abatellis, a Palermo – l’Archimede condivide la «sigla inconfondibile nel naturalismo insistito che indugia sull’anatomia rugginosa dei personaggi per scrutarne i volti rugosi, quasi cotti dal sole, e le dita legnose e dinoccolate» del «linguaggio inedito e personalissimo» di Domenico Marolì. Accomuna inoltre le opere citate un gusto per la resa materiale di libri e strumenti scientifici in contrasto con la tessitura pittorica scabra del fondo. Ceretti mette inoltre in rapporto la marina della nostra tela con le “fortune di mare” di Marolì elogiate da Marco Boschini nel 1660 nella Carta del navegar pittoresco4.
Prima della metà del Novecento, quando era in collezione Uboldi, la tela era stata attribuita a Pier Francesco Mola, poi alla scuola spagnola del Seicento, infine all’ambiente di Giovanni Battista Discepoli detto lo Zoppo da Lugano5. Con quest’ultima attribuzione, l’Archimede entra nella collezione di Giovanni Züst ed è presentato alla grande rassegna dedicata alla pittura barocca svizzera, Barocke Kunst der Schweiz, tenutasi nel 1956 a presso il Kunstmuseum di Lucerna6. Durante la sua permanenza in collezione Züst, il quadro, esposto nella biblioteca, è esaminato da Antonio Morassi che lo riferisce pur cautamente alla fase giovanile di Giovanni Serodine (1594-1630), in un momento prossimo al 1620 «dopo i primi contatti con il Caravaggio ed il Ribera»7.
Secondo le informazioni fornite dal biografo Francesco Susinno8, Marolì nasce nel 1612 a Messina, dove frequenta studi letterari e, dal 1634, lavora presso la bottega di Antonino Alberti detto il Barbalonga, allievo del Domenichino. Trascorsi otto anni, Marolì lascia la Sicilia per recarsi nella Serenissima. Susinno scrive che la permanenza veneziana sarebbe iniziata nel 1642, per concludersi col rientro del pittore in Sicilia nel 1660, salpando dal porto di Genova dopo aver fatto tappa a Bologna. Tuttavia, l’esistenza di una serie di committenze soddisfatte da Marolì nella sua città natale proprio nel corso del sesto decennio invita a limitare la presenza dell’artista in Laguna tra il 1650 e il 16579. Il linguaggio pittorico di Marolì coniuga il classicismo d’impronta emiliana appreso da Antonino Barbalonga con un naturalismo d’intonazione riberesca.
Note:
[1] Degli studi di Morassi su questo dipinto, come sugli altri della collezione Züst, si conserva il dattiloscritto del 1957 (Venezia, Università Ca’ Foscari, Dipartimento di Filosofia e Beni Culturali, Archivio e Fototeca Antonio Morassi, unità C XI, Catalogo dei dipinti della collezione comm. Giovanni Zust a Rancate, 1957, cc. 2-3, n. 3; nello stesso Archivio: inv. C1651; fascicolo «scarti», invv. C1643-C1644). La pubblicazione degli appunti di Morassi risale a pochi anni fa: S. Valle Parri e G. Zavatta, Il catalogo della collezione Züst di Antonio Morassi (1957), Quaderni del «Bollettino Storico della Svizzera Italiana», 14, Bellinzona 2019, p. 80, n. 3. Nel filosofo fu inizialmente riconosciuto Flavio Gioia, inventore della bussola, anche per via della somiglianza tra la marina del dipinto e quella, nella stessa posizione nella tavola Lapis Polaris Magnes della serie Nova Reperta commissionata a Giovanni Stradano dal nobile fiorentino Luigi Alamanni tra il 1587 e il 1589 e pubblicata ad Anversa da Philips Galle con il contributo del figlio Theodor e di Jan Collaert; per quella dedicata a Flavio Gioia: A. Baroni Vannucci, Jan Van Der Straet detto Giovanni Stradano flandrus pictor et inventor, Milano-Roma 1997, pp. 397-400, n. 697.
[2] N. Tartaglia, Opera Archimedis Syracusani philosophi et mathematici ingeniosissimi, Venetia 1543, in particolare pp. 19v-31r. Secondo Francesco Ceretti (comunicazione scritta, maggio 2025).
[3] Francesco Ceretti (comunicazione scritta, maggio 2025).
[4] M. Boschini, La carta del navegar pitoresco, Venetia 1660, p. n. n.
[5] S. Valle Parri, La collezione Züst. Acquisizioni storico critiche e qualche indicazione, in S. Valle Parri e G. Zavatta, Il catalogo della collezione Züst di Antonio Morassi (1957), Quaderni del «Bollettino Storico della Svizzera Italiana», 14, Bellinzona 2019, p. 40 e nota 29.
[6] Barocke Kunst der Schweiz, catalogo della mostra (Lucerna, Kunstmuseum, 7 luglio – 23 settembre 1956), Lucerna 1956, p. 75, n. 277.
[7] G. Zavatta (a cura di), Antonio Morassi. Catalogo dei dipinti della collezione comm. Giovanni Züst a Rancate, in S. Valle Parri e G. Zavatta, op. cit., 2019, p. 80, n. 3.
[8] F. Susinno, Le vite de’ pittori messinesi, 1724, Basilea, Kunstmuseum, Kupferstichkabinett, ms. A 45; ed. critica a cura di Martinelli V., Firenze 1960, pp. 204-210.
[9] L. Hyerace, Precisazioni su Domenico Marolì e due inediti, in «Prospettiva», 38, 1984, pp. 58-69.